Fulmine a ciel sereno e
amore a primo ascolto. Ecco le prime due cose che mi vengono in mente, mentre
inizio a scrivere di Blue Ridge Blood, terzo capitolo della discografia di
Chelle Rose, giunto nei negozi dopo il fortunato The Ghost Of Browder Holler, datato
2012. Non sto parlando di avvenenza fisica, ovviamente, che in questo caso è
solo un contorno sfizioso. E’ proprio il disco che crea dipendenza: basta
metterlo nel lettore una sola volta e questo cd riempirà le vostre giornate
senza soluzione di continuità. Vale la pena, prima di entrare nel merito del
disco, soffermarci sulla vita di Chelle Rose. Lei cresce nell’East Tennesse,
poi nel 1996 si trasferisce a Nashiville dove studia e inizia la gavetta
musicale. Nel 2000 pubblica il suo disco d’esordio, Nanahally River, che non ha
alcun riscontro di vendite; poi, si sposa, mette al mondo due bambini, e inizia
un lavoro ordinario. Ma le cose non vanno come dovrebbero: il suo matrimonio
naufraga e la musica torna a occupare tutti i suoi pensieri. Lascia Nashville e
torno nell’East Tennesse, in una cittadina alle pendici dei monti Appalachi,
dove è cresciuta con la nonna materna, deceduta nel 2014 e a cui il disco è
dedicato. Un ritorno alle origini, dunque, alle proprie radici, ai suoni della
propria terra. E’ il richiamo del sangue, quello che da il titolo all’album e
che porta con sè i profumi, i colori, la natura delle Blue Ridge Mountains,
quella sezione dei monti Appalachi che Rose conosce come le sue tasche.
Ma qui
viene il bello: se pensate di trovarvi di fronte a un disco di folk siete
clamorosamente fuori strada. La Rose, infatti, appronta una scaletta di rock
blues elettro acustico, plasma la materia arricchendola di sonorità roots, e la
trasforma con la sua straordinaria voce, capace di riprodurre il timbro strascicato
e sofferto di Lucinda Williams oppure di sputare fiotti di rabbia e amarezza
come solo Patti Smith sa fare (e in definitiva Chelle Rose è una sintesi
perfetta fra le due). Le canzoni raccontano la storia della songwriter, il
rapporto con la propria famiglia e i luoghi dell’infanzia, e indagano sull’essere
umano, su anime in bianco e nero, in cui i rari momenti di luce si perdono in
un buio incombente e maligno. In tal senso, Blue Ridge Blood è un disco i cui
momenti morbidi sono distillati con il contagocce: forse la sola Laid Me Down, illanguidita
dal pianoforte, porta un po’ di sole in scaletta (anche se c’è la voce arresa della
Rose a ricordarci che la notte è in agguato là fuori). Il mood prevalente,
invece, è crepuscolare, le ballate sono torbide e mai condiscendenti verso la melodia,
i brani sono comunque e sempre attraversati da frementi scariche elettriche e
distorsioni, che esplodono nel ringhio noise rock definitivo della superba Gypsy
Rubye. Se è vero che ogni genere ha una sua dark lady, oggi possiamo
tranquillamente dire che anche l’americana ne ha trovata una. Si chiama Chelle
Rose e ci ha regalato uno dei dischi più belli, sinceri ed emozionanti del
2016. Produce George Reiff e benedice Buddy Miller (tredici Grammy Awards
vinti), che prende in mano la chitarra per santificare la title track.
VOTO: 9
Blackswan, giovedì 06/10/2016
2 commenti:
Lo sto ascoltando proprio ora: che figata!
@ Lucien: si, davvero un grande disco!
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