Arrivata al
quarto album in studio, Lydia Loveless ha deciso di spiazzare il proprio
pubblico con un disco decisamente diverso. D’altra parte, a soli ventisei anni,
non c’è nulla di immutabile, la vita è ancora un grande punto interrogativo e
si possono imboccare strade oblique, allontanandosi dal percorso che si era
scelto inizialmente. Sono scelte, giuste o sbagliate, ma che si devono fare,
che aiutano a crescere, così nella vita come nell’arte. C’era, dunque, una
Lydia Loveless più rock, che spingeva la propria urgenza espressiva verso un
country-punk istintivo, con le chitarre che sprizzavano sferragliante gioventù
e facevano da contraltare aggressivo a una malinconica vulnerabilità di fondo.
Oggi, Lydia ha cambiato modo di esprimersi, non dico sia maturata, ma di certo
vive una diversa realtà, in cui la spontaneità di dischi come Indestructible
Machine è stata convogliata in un linguaggio più morbido mutuato dal pop. E’
probabile che i fans della prima ora storceranno il naso e che queste nuove
canzoni verranno stigmatizzate come figlie di furbi intenti commerciali. Di
certo, in Real mancano canzoni come Bad Way To Go, è un dato di fatto. Ma per
converso, dopo ripetuti ascolti, si ha l’impressione di una scrittura più
solida e consapevole, corroborata, peraltro, da una squadra di musicisti che viaggia
con il pilota automatico (il bassista Ben Lamb, anche marito della Loveless,
Todd May alle chitarre e George Hondroulis alla batteria) e dalla solita,
precisa produzione di Joe Viers, capace di adattarsi alla perfezione al nuovo
corso. La canzoni di Real, è inutile girarci attorno, sono canzoni pop, il che,
però, non significa necessariamente un abbassamento della qualità della
proposta. Anzi. La Loveless non spegne del tutto il fuoco delle chitarre, molto
presenti in quasi tutti i brani in scaletta, ma lo tiene sotto controllo con
intelligenza, e si smarca dall’ovvio, anche quando lambisce un certo mainstream
da FM (vedi il singolo Longer), grazie ad arrangiamenti che testimoniano una
brillante consapevolezza espositiva. E poi ci sono anche grandi canzoni (Same
To You, Out On Love, European, Midwest Guys), in cui la Loveless trova un
perfetto equilibrio fra inquietudini in chiaro scuro, richiami eighties e una
raffinatezza di scrittura paragonabile a quella di Stevie Nicks. Meno
impetuoso, e di certo più ragionato, Real è un disco che allontana la Loveless
dalla cifra estetica che informava i primi dischi e che ci offre, invece,
l’immagine un artista alle prese con il suo lato più cantautorale, elegante e
catchy. Un disco furbetto? Forse. Alla fine, però, i dischi furbetti bisogna
saperli fare e Real, una volta messo sul piatto, vi terrà compagnia per tanti,
tantissimi ascolti.
VOTO: 7
Blackswan, sabato 22/10/2016
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