Ci voleva tanto? Alla fine
di una serie di attenti ascolti del primo e omonimo disco di Sadler Vaden,
l’unica domanda che mi sono posto è stata questa. E non è rivolta al già
chitarrista di Jason Isbell & 400 Unit, perché lui la sua risposta l’ha
fornita registrando questo disco. La mia domanda è rivolta a quell’esercito di
band e interpreti che le case discografiche ci propongono giorno dopo giorno,
tutti talentuosi e imperdibili artisti rock che promettono di farci strappare
i capelli dalla gioia. Per tutto questo esercito di Carneadi, il disco di
Sadler Vaden dovrebbe diventare un vero incubo, perché in poco più di 40 minuti
il chitarrista del South Carolina scrive, suona e canta attingendo a pieno mani
dalla tradizione del rock americano, non aggiungendo nemmeno una virgola in più
e proponendo, finalmente, un disco in cui ci sono le canzoni, ormai queste
sconosciute. Si, Sadler Vaden è un
disco di belle canzoni, ben arrangiate, ottimamente suonate (su questo c’erano
pochi dubbi) e anche ottimamente cantate (e chi se lo aspettava…). Sono pezzi
che invogliano a cantarci sopra, che creano dipendenza, che ancora hanno il
gusto di riff/strofa/ritornello, mentre due chitarre (una per cassa) ci pestano
nelle orecchie un bel rock’n’roll, la sezione ritmica lavora ed il tastierista
cesella. Vaden tira fuori dal cilindro anni ed anni di gavetta; magari queste canzoni
le aveva nel cassetto chissà da quanto, quindi rappresentano il meglio di
quanto messo da parte in questi anni. Difficile da dire, ma le sonorità da
grunge ballad di “Land of no refuge” (gran testo sugli homeless), la
costruzione Beatlesiana “Get your high”, il romanticismo di “Into the woods”
(la canterete anche voi, statene certi) e l’elettricità di “You can’t have it
all” vi creeranno dipendenza. Oltre a ciò, la registrazione ha un sapore di
vintage moderno che lascia estasiati, le chitarre sono così belle da sentire,
che viene da chiedersi dove il produttore Paul Ebersold, già dietro la consolle
per Cyril Neville, abbia scovato questi suoni. Nel disco c’è anche, in alcune
tracce, la chitarra di Audley Freed (ex Black Crowes e Lynyrd Skynyrd) a
duettare con Vaden, tanto per far capire che aria tira. Insomma, senza inventarsi
niente Sadler Vaden crea un disco fatto di canzoni, che puzza tremendamente di
gavetta e necessita a tutti i costi di essere suonato “loud”. Poi che ognuno lo
etichetti come meglio crede: southern rock, americana o folk/rock. Invece, per
tutti gli altri vale la domanda iniziale: ci voleva tanto?
VOTO: 8
Melonstone, martedì 11/10/2016
2 commenti:
Molto carino, si lascia ascoltare, la vocalità è più indie che grunge a mio avviso. Nelle sonorità meno che nel taglio con cui suona, ma ricorda un giovane Rory Gallagher
*MaryA*
@ MaryA: mi ha colpito (come si evince dal voto, naturalmente). finalmente un disco di classic rock, senza troppi fronzoli e con le canzoni...
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