Che Marcus King sia un
fuoriclasse assoluto non v’è alcun dubbio, e basta anche un rapido ascolto di
questo disco, per renderci conto che siamo di fronte alla più interessante novità di un panorama, come quello del rock blues, spesso troppo legato a
prevedibili clichè. Il primo ad accorgersi di quanto fosse bravo Marcus è stato
Warren Haynes, che dopo averlo ascoltato suonare dal vivo, ne è rimasto
folgorato, l’ha messo sotto contratto per la sua etichetta, la Evil Teen
Records, e ha prodotto il suo primo disco, Soul Insight, che nel 2015 si è
piazzato nella top ten di Billboard Blues. Niente male per uno sbarbato che ha
da poco compiuto vent’anni, ma che è già in possesso di una maturità
compositiva da musicista navigatissimo. Il suo retroterra è tutto merito del
padre, il bluesman Marvin King, che lo ha svezzato con una discografia di
grandi classici blues e lo ha voluto con lui sul palco, ancora minorenne, a
farsi le ossa nei circuiti del South Carolina. La natura ha fatto il resto: una
voce possente e graffiante da soulman di colore e un talento chitarristico che,
pur essendosi formato all’ombra di miti come Duane Allman e lo stesso Haynes,
ha acquisito ormai uno stile personalissimo. Un fuoriclasse, dicevamo, uno
destinato a fare grandi cose e già pronto per essere annoverato fra i migliori
interpreti del genere. Il suo secondo disco, che potremmo definire della
consacrazione, è un’opera però straordinariamente eclettica, vivace e ricca di
spunti creativi, tanto che inserire questo sophomore sotto l’etichetta di
southern rock o rock blues si farebbe un torto a Marcus King e alla sua musica
libera da convenzioni. Gli afrori sudisti ci sono tutti, così come anche la
passione per il Memphis soul e la musica del diavolo; eppure King spiazza l’ascoltatore
con un linguaggio multiforme, che pronuncia il verbo sudista con accenti jazz,
funky e pop.
La lezione del grande Duane Allman è stata mandata a memoria e
quello che in altre mani poteva essere un solido disco di rock blues, nelle
mani di King diviene un affresco cangiante, in cui la chitarra, svincolata dal
dogma southern “riff graffiante e assolo interminabile”, preferisce esprimersi
attraverso moduli jazzistici (qualcuno ha detto In Memory Of Elisabeth Reed?).
Il disco spiazza fin dalle prime battute: jazz, soul e blues vestono di fiati
la brillante Ain’t Nothing Wrong With That, un brano che travolge per il suo
contagioso entusiasmo e svela di che pasta è fatta la chitarra di King, straordinario
nel cesellare un assolo tanto icastico quanto scintillante. Self Hautred, con
l’ospitata di Dereck Trucks, imbocca la strada della psichedelia e per cinque
minuti e mezzo la sensazione è quella di ascoltare i Beatles di Taxman suonati da
una Allman Brothers Band in trip lisergico. Rita Is Gone è un ballatone soul strappa
mutande, con la voce miele e liquerizia di Marcus che ci massaggia l’anima,
omaggiando il grande Otis Redding, mentre in Thespian Espionage si tenta un
azzardo fusion, peraltro perfettamente riuscito, in cui fluato e chitarra
elettrica si passano il testimone dell’assolo e la batteria di uno
straordinario Stephen Campbell gioca con i controtempi. Insomma, si tratta di grandi
pezzi che si smarcano dall’ovvio e cercano, con ottimi risultati, altre modalità
di espressione. Eppure, anche in quei brani in cui King resta più legato a
formule convenzionali, riesce a inserire qualcosa di prezioso per l’ascoltatore.
Virginia, ad esempio, è un robusto brano southern attraversato dalle chitarre
di King e Haynes (qui anche in veste di ospite), che dardeggiano assoli senza però
essere mai invasive; e quando parte Radio Soldier, canzone dalla solida
struttura rock blues, si resta a bocca aperta per l’incredibile riff arpeggiato
che apre il brano e per l’assolo centrale di chitarra, che suona, fin dal primo
ascolto, come un istant classic. Al secondo capitolo della sua discografia King
ha fatto decisamente centro, rilasciando uno dei dischi più versatili,
divertenti e ben suonati dell’anno. Pertanto, se amate gruppi come i Gov’t Mule
e la Tedeschi Trucks Band, per citare un paio di nomi, non lasciatevi sfuggire
questo disco: il ragazzino è un genietto e il futuro del genere è saldamente
nelle sue mani.
VOTO: 9
Blackswan, giovedì 27/10/2016
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