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18 giugno del 1982, Mirage, tredicesimo album in studio dei Fleetwood Mac, non
è di certo annoverabile fra le cose più interessanti della band. Il meglio,
infatti, è stato già dato. E non parlo solo dei primi anni con Peter Green al
comando, ma anche della seconda fase della loro carriera, quella mainstream,
per intenderci. Rumours (1977), con i suoi quaranta milioni di copie vendute,
fu il successo planetario e la definitiva consacrazione commerciale della band.
Il successivo e doppio, Tusk (1979), pur essendo pervaso da una certa grandeur
derivata dalle vendite pazzesche del predecessore, continuò a proporre una band
in grande spolvero che, nelle venti canzoni in scaletta, dimostrò di saper
elaborare la materia del pop rock con intelligenza e un pizzico di innovazione.
Un ottimo disco, insomma, uno dei migliori della carriera dei Mac, che si
piazzò molto bene in classifica, pur senza fare gli sfracelli di Rumours. Ma fu
anche l’ultima grande prova del gruppo, innervosito dal minor successo
commerciale del disco e fiaccata da dispute interne e dalle prurigini della
Nicks e di Buckingham, decisamente proiettati verso le rispettive carriere
soliste. In tal senso, Mirage è l’album di un gruppo che non ha più molto da
dire, che viaggia col pilota automatico e compone canzoni con pragmatismo
commerciale e la sicurezza e l’efficienza di naviganti di lungo corso. L’inizio
della fine, insomma, un ultimo episodio dignitoso, di una carriera che, da quel
momento in poi, diventerà prescindibile. Inutile dire che il disco venderà
comunque bene: ma la proposta si fa sempre più votata verso un soft rock di
maniera che, solo in rari casi, riesce ad accendersi di sporadiche
illuminazioni. Il timone è in mano saldamente a Buckingham, che scrive la
maggior parte dei brani, ma le cose migliori escono dalla penna di una comunque
ispirata Stevie Nicks, che cesella armonie pop in chiaro scuro, regalando ai
fans un gioiello come Gipsy e il country rock radiofonico di That’s Alright.
Questa expanded edition si compone dell’album completamente rimasterizzato e di
un secondo cd, contenente outtakes e diverse versioni dei brani contenuti nel
disco originale. Nulla per cui valga la pena fare follie, anche se un paio di
outtakes (If You Were My Love e Smile At you) avrebbero meritato di finire
nella scaletta di Mirage. Elegante il packaging e interessante il booklet,
corredato da foto inedite e da una lunga nota introduttiva del critico musicale
David Wild.
VOTO: 6,5
Blackswan, mercoledì 26/10/2016
1 commento:
Li ho sempre mal sopportati in gioventù a causa del loro successo legato ad un easy-listening (per giunta americano) che mal si accompagnava al periodo storico che il mondo stava attraversando .
Li ho riscoperti poi, quando la gioventù mi abbandona, per le loro innegabili capacità compositive e professionali.
Come dice il proverbio, mi viene il dubbio di essere sulla strada giusta per morire pompiere.
Un abbraccio.
P.S.: hai perfettamente ragione, Mirage non è il massimo ma Rumors, a riascoltarlo oggi, suona ancora splendidamente.
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