La letteratura americana
contemporanea non smette di spiazzarmi. Accanto a nomi che rischiano in breve
tempo di diventare già dei classici (uno su tutti? Jonathan Franzen, il cui Purity è già in lettura) con una cadenza
precisa escono autori che sanno ammaliare e convincere. L’antefatto per
l’acquisto di Fato e furia è stata
l’entusiastica promozione che ne ha fatto Barack Obama (!), dichiarando senza
alcun timore che l’opera di Loren Groff è “il miglior romanzo dell’anno”. E
visto che Obama di narrativa se ne intende (e non solo di quella, ma ahinoi questa
è un’altra storia) sono corso in libreria a prendermi la mia copia di Fato e furia, un titolo particolare per
un libro non semplice. Il primo impatto con il romanzo è che sia rivolto a
lettori che non demordono e che abbiano la pazienza di entrare pian piano nelle
pagine. La scrittura ha un avvio volutamente complicato; le pagine hanno
bisogno di una lettura attenta alle sfumature ad al non detto. E’ una specie di
prova del nove, quasi a voler scoraggiare il lettore svogliato: la Groff sin
dall’inizio ci sfida, utilizzando anche neologismi, attingendo però al contempo
anche ad un inglese più arcaico e formale. Un concetto è chiaro: l’amore della
scrittrice per il teatro. La costruzione del romanzo risente in maniera
preminente delle grandi opere teatrali ed è così divisa in due parti: da una
parte il racconto della vita di Lancelot (detto Lotto), dall’altra lo stesso
racconto ma dalla parte di Mathilde. In mezzo, l’amore tra i due; un amore
strabordante ed eccessivo, riconosciuto sin dal primo istante. E con l’amore,
il sesso, l’asse portante della coppia, la sublimazione del rapporto, il vero
collante delle due vite, non giudicato però come mero ed effimero trasporto
delle carni, bensì come energia salvifica, purezza. E così dopo lo scoglio
delle prime cento pagine, la Groff si apre a un lessico comprensibile e sempre
più narrativo, svelando le debolezze dei protagonisti e declinando quella
vecchia ma sempre attuale frase di Tolstoj per la quale “ogni famiglia è
infelice a suo modo”. I personaggi che ruotano intorno alla coppia sono solo
leggermente abbozzati, necessari solo a caratterizzare ancora di più i due
protagonisti, accreditando sempre più l’impressione che questo romanzo potrebbe
essere un successo teatrale. Si capisce così che Fato e furia è un titolo che calza a pennello per queste 400
pagine, due sostantivi che rappresentano sia i personaggi (il destino che segna
la vita di Lotto, la furia che rappresenta tutta l’esistenza di Matilde) sia la
sintesi del loro sentimento. E se poi si può avanzare anche un accostamento,
viene quasi naturale pensare al lessico di William Faulkner, così ricercato e
all’inizio difficile da permeare; così come, a pensarci bene, il titolo non può
non rimandare a L’urlo e il furore. Ed
è un pregio, sia ben chiaro.
Melonstone, martedì 03/01/2017
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