C’è una famigliarità nelle
canzoni di Tift Merritt che a ogni ascolto produce la sensazione di un ritorno
a casa: apriamo l‘uscio e ritroviamo i profumi, le luci, le consuetudini del
vivere domestico. Ogni cosa è al suo posto, esattamente dove l’avevamo lasciata
prima di partire. Ed è bello, chiudere fuori dalla porta il mondo e immergersi nell’ovattata
quiete dei piccoli gesti, muoversi in un ambiente che non ha misteri, replicare
abitudini che costituiscono le nostre certezze. Suona così Stitch Of The World,
un disco che non sposta di una virgola quello che ci aspettiamo da Tift
Merritt. Certo, i detrattori saranno pronti a banalizzare il contesto e a
ripeterci che i canoni espressivi sono vecchi, gli arrangiamenti risaputi, le
melodie trite e ritrite. Ma noi li lasciamo dire, perché è questo quel che
vogliamo dalla bella ragazza di Houston: una musica che ci dia conforto e certezze,
che ci accompagni nelle nostre giornate come un amico fidato, come un affetto a
cui rivolgerci quando abbiamo bisogno di un abbraccio che ci protegga. Queste
canzoni profumano di casa e di Merritt fin dal primo ascolto, sono l’America dell’ovvio
ma non del banale, sono country e folk filtrati attraverso un linguaggio
delicatamente pop, che ci allontana dalle radici per rendere più visibile il
fiore. E forse, mai come in questo caso, il delicato tocco artigianale della
cantautrice coglie nel segno, regalandoci una scaletta di tredici canzoni senza
una sbavatura, perfette nella loro semplicità, come il volto di una giovane
ragazza che non ha bisogno di trucco per apparire bello. Quello della Merritt è
un songwriting senza scarti, che tiene ferma la barra, indirizzandola verso
approdi in cui possiamo agevolmente riconoscere Carole King, Tori Amos (la
splendida Icarus, un gioiellino di intensità acustica), Sheryl Crow, e che fa
della melodia il suo punto di forza. Registrato a Los Angeles, mentre Tift era al
sesto mese di gravidanza, il disco vede la collaborazione di Sam Beam degli
Iron & Wine, e i camei di Marc Ribot alla chitarra e Eric Heywood alla
pedal steel nell’iniziale Dusty Old Man, un vivace blues dall’andamento
dinoccolato. Seguono Heartache Is An Uphill Climb, una ballata pianistica dal
sapore seventies e My Boat, che rimette al centro la chitarra acustica, in un
brano scarno in cui è la voce cantilenante della Merritt a creare una melodia
da brividi. E questo è solo l’inizio di un disco che convince per tutta la sua
durata, sia quando Tift si misura con il più classico dei brani folk (la title
track) sia quando sfodera le chitarre elettriche nel mid tempo di Proclamation
Bones. Stitch Of The World, come si diceva, non riserva soprese, ma è l’ennesimo
buon disco di un artista che non ha bisogno di artifici per trasmettere
emozioni, che fa il suo senza pretendere altro da sé stessa se non di farlo
bene. Ed è proprio quello che vogliamo quando torniamo a casa da un lungo
viaggio: ritrovare i nostri spazi, la nostra dimensione, la nostra
irrinunciabile tranquillità.
VOTO: 6,5
Blackswan, sabato 21/01/2017
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