A due anni
dall’uscita di 1989, rilettura in chiave rock dell’omonimo album di Taylor
Swift, Ryan Adams torna nei negozi con un album di canzoni originali. Prisoner
è senza dubbio il disco più intimo e sofferto del cantautore di Jacksonville,
un album scritto durante il divorzio dalla compagna Mandy Moore e concepito
come una sorta di rielaborazione del lutto affettivo. Non che Adams sia mai
stato un allegrone: troppo sensibile e riflessivo per prendere le distanze dal
dolore del mondo, nei suoi dischi non ha mai fatto mistero di un animo empatico
e malinconico. Prisoner, però, supera abbondantemente il livello di guardia
della depressione, è un disco che racconta il calvario della separazione, non
risparmiando nulla all’ascoltatore di ciò che Ryan ha passato, delle
frustrazioni e delle umiliazioni del divorzio, della gabbia in cui ha rinchiuso
le proprie speranze, il proprio amore, la propria personalità. Prigioniero,
dunque, di una storia finita e di tutti gli strascichi che ne sono derivati,
Ryan scrive il suo Late For The Sky, per citare un disco emotivamente identico,
o, se volete, il suo Tunnel Of Love, paragone forse più appropriato in
considerazione del suono springsteeniano di molte delle canzoni in scaletta. A
parte Do You Still Love Me, che apre il disco sfoderando un ringhio rock smorzato
però da un retropensiero malinconico, Prisoner è un album di ballate,
riflessivo e triste, in cui è la pena, sia nelle melodie che nei testi (“sono
un’anima che ha perso il controllo”, canta Ryan in Breakdown), la vera
protagonista di ogni singola canzone. Un’aura depressa e sofferente, quindi,
che fa centro, sia quando Adams sfodera la sua antica passione per gli Smiths,
omaggiati nella splendida title track o nel cantato monocorde e nel jingle
jangle di Anything I Say To You Now, sia quando cita Springsteen in Haunted
House (che sembra un out take del citato Tunnel Of Love) o in Outbound Train,
che suona come la sorella minore di Lonesome Day. Tuttavia, pur nei suoi
riferimenti espliciti, la scrittura di Adams è efficacissima, ed è davvero
impossibile non innamorarsi di autentici gioielli di disarmante tristezza,
quali Shiver And Shake e Breakdown. Un’opera tormentata, dunque, un resoconto
“americano” di un dolore universale, che conferma Adams come uno dei più
sinceri songwriter della sua generazione. Per cuori infranti e irriducibili
malinconici.
VOTO: 7,5
Blackswan, giovedì 18/02/2017
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