I dischi dei Bats producono lo stesso effetto di quando
si rincontra occasionalmente un vecchio amico, dopo qualche convenevole si
riprende esattamente da dove ci si era lasciati. Con la band neozelandese non
può che essere così: una discografia divisa in due fasi con un intermezzo durato
ben dieci anni, cinque album dall’87 al ’95, altrettanti dal 2005 ad oggi. Cinque
come gli anni che sono serviti a Robert Scott e ai suoi compagni di sempre -
Kaye Woodward (vc, ch), Paul Kean (bs) e Malcom Grant (bt) - per mettere
insieme le nuove canzoni di questo The
Deep Set appena uscito per la storica etichetta di Auckland Flying Nun
(Chills, Tall Dwarfs, D4). Questi i numeri che raccontano brevemente la
trentennale e frastagliata carriera dei Bats e del loro leader, il
cantante/chitarrista Robert Scott, figura essenziale della scena di Dunedin e
di tutto il Post/Punk del continente australiano. Musicista prolifico e poliedrico,
nel suo curriculum, oltre ai Bats, altre 4/5 band e, soprattutto, il ruolo di
bassista nei leggendari Clean fino allo scioglimento avvenuto nel 2009. Di
rilievo anche l’attività di artista visuale, tante copertine del catalogo
Flying Nun portano infatti la sua firma.
Ora, finiti i convenevoli, è il caso di riprendere il
filo del discorso che s’era interrotto, come abbiamo già accennato, nel 2011
quando uscì Free All The Monsters, disco
bellissimo per il quale si spesero commenti poco meno che entusiastici. The Deep Set prosegue sulla stessa
falsariga restituendoci una band in gran forma capace di inanellare, in una
scaletta pressoché immacolata, alcuni brani tra i migliori che abbiano mai
prodotto. Impossibile non farsi subito incantare dal Jangle/Pop dell’opening
track Rooftops, con le chitarre di
Scott e della Woodward in continuo ed armonioso dialogo, tra delicatezze
assortite e piccole frenesie ritmiche. Come i migliori Teenage Fanclub e prima
di loro i mai troppo citati Go-Betweens e Feelies (a proposito, di questi
ultimi è in uscita un nuovo album). The
Deep Set è un disco, anche se ancorato saldamente alle proprie radici,
assolutamente contemporaneo che conquista crescendo ad ogni nuovo ascolto. La
gioia pura che suscitano i brani più accattivanti, No Trace e il singolo Antlers,
va di pari passo alle raffinatezze contenute in canzoni dai toni più raccolti
come l’umbratile Diamonds e su tutte,
Steeley Gaze, la perla del disco: atmosfere
vagamente psichedeliche e feedback trattenuto, quasi a voler sottolineare il basso
sinuoso di Paul Kean e il drumming gentile di Malcom Grant. L’affiatamento dei
quattro è perfetto, impeccabile la tecnica, mai un affanno o una nota di
troppo. Così in tutte le dodici canzoni. Band in grande spolvero e disco tra i
più interessanti in questo scorcio di nuovo anno. Non rimane che congedarci dai
Bats, vecchi amici che vorremmo incontrare più spesso, l’impressione è che
dipenda solo da loro.
VOTO: 8
Porter Stout, venerdì 17/02/2017
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