Crocevia della morte fra
la rabbia militante delle riot grrrl (le Bikini Kill e le Babes In Toyland
stanno solo a un tiro di schioppo) e le derive rumorose della Gioventù Sonica,
le tre ragazze di Olympia ci hanno regalato almeno un paio di dischi (Call The
Doctor e Dig Me Out) da conservare fra i capitoli più preziosi della nostra
discografia nineties. Poi, a partire da Hot Rock del 1999, un po’ si sono
perse, accantonando la ferocia iniziale per abbracciare una forma canzone più
convenzionale e meno urticante. L’ultimo capitolo della loro storia risale al
2005, ed è segnato da The Woods, quello che per molti rappresentava il disco
della rinascita (un nuovo suono, caratterizzato anche da assoli di chitarra e
arricchito da scorie psichedeliche) e che invece segnò, tra lo stupore e il
disappunto dei numerosi fans, il loro scioglimento. Orfani di tanto amore,
abbiamo atteso quasi dieci anni, fino a che i nostri sogni si sono avverati:
Corin Tucker, Carrie Brownstein e Janet Weiss sono tornate nel 2015 con No
Cities To Love, un disco che fin dalle prime note ci ha rimandato
immediatamente al loro momento di maggior creatività. Se qualcuno pensava che
dieci anni di silenzio e la raggiunta maturità (le tre ex ragazze sono ormai
tutte ultraquarantenni) avrebbero fiaccato lo spirito e la tensione che animava
Dig Me Out, è servito: le dieci canzoni di No Cities To Love rappresentano
infatti ciò che maggiormente si avvicina alla forza iconoclasta di quel
fantastico disco. Live in Paris, uscito nuovamente per la mitica Sub Pop,
celebra nel miglior modo possibile la rinascita, certifica un ritrovato stato
di grazia e dopo tanti anni di attesa, restituisce ai numerosi fans della band
una rinnovata energia, che i meno ottimisti pensavano dissipata per sempre.
Primo live ufficiale delle Sleater Kinney, registrato nel mitico locale La Cigale
il 20 marzo del 2015 (quindi, in prossimità dell’uscita di No Cities To Love) questo
disco non aggiunge nulla di nuovo a quello che già conoscevamo della band, ma
rappresenta comunque un documento storico di rara intensità, che racconta,
attraverso una scaletta corposa e ricca di brani vecchi e nuovi, la potenza di
suono che ha reso leggendarie le ragazze di Olympia. Una tirata unica, con i
volumi sparati, le chitarre di sprigionano fuoco e fiamme, le scudisciate
noise, gli incastri vocali selvaggi e dissonanti: tutto il repertorio, cioè, di
cui ci siamo innamorati fin dal lontano 1996. Un disco che potrebbe essere
prescindibile se non si trattasse delle Sleater Kinney, ma che invece, proprio perché
fotografa il ritorno di una delle migliori band al femminile di sempre, induce
a rosee riflessioni sul futuro del rock alternative statunitense. Finché ci
sono gruppi così, possiamo stare tranquilli.
VOTO: 7
Blackswan, giovedì 09/02/2017
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