A fare questo lavoro, si
ascoltano tanti cd, forse troppi. E pur con tutta la buona volontà,
l’attenzione e la deontologica predisposizione all’obbiettività, è davvero
difficile trovare dischi che ci facciano fare il classico balzo sulla sedia.
Soprattutto, poi, quando ci immergiamo nel panorama italiano, in cui molto
spesso la proposta è tarata su standard musicali decisamente consunti o, nel
migliore dei casi, clonati dai paesi anglosassoni. Poi, però, ci sono anche
delle piccole, ma vitalissime, enclave, che resistono alle lusinghe del banale
e non si fanno contenere nei rigidi steccati di uno stucchevole deja vu. E’ il
caso dell’etichetta ferrarese New Model Label, che tra le tante
interessanti proposte, pubblica in questi giorni A Thing Of Beauty,
disco d’esordio dei modenesi Inarmonics, quartetto nato nel 2015
dalla fusione di due band locali, i Delta THC e i The Edmundos.
Messo il cd nel lettore, la prima cosa che colpisce, a parte il colpo d’occhio
surreale della splendida copertina, è il senso di positivo spaesamento di
fronte a un pugno di canzoni difficilmente etichettabili. Che in A Thing Of
Beauty siano convogliate le diverse esperienze dei componenti del gruppo (Gianluca "Il Negro" Gabrielli: voce,
chitarra; Massimiliano Manocchia: chitarra; Gianpaolo "Saimon"
Simonini: basso; Manuel Prota: batteria)
è un fatto di immediata evidenza; eppure, ciò che sorprende fin da subito è la
straordinaria semplicità con cui vengono armonizzate sonorità distantissime fra
loro, anche per genesi storica. La resa del melange, grazie ad arrangiamenti
lineari che trasmettono coerente solidità al quadro d’insieme, è pressoché
perfetta: new wave, prog-rock, jazz e spruzzate di
funky-soul riescono a convivere quasi in simbiosi anche all’interno dello
stesso brano, tanto che, con una fascinosa forzatura classificatoria, si
potrebbe parlare a proposito di A Thing Of Beauty di prog-wave. Un
azzardo, certo, ma necessario, ancorché riduttivo, per tracciare delle
coordinate utili all’ascoltatore. Difficile, se no, orientarsi in un
caleidoscopio di colori che spazia fra il blue cobalto dello sconquasso post
wave di History, le sfumature scarlatte dei languori soul della title
track, le vertigini argentate del funky jazz di Funkarabian Scat o i
pastelli tenui di Gone Too Fast. La chitarra icastica di Manocchia,
il cantato scabro di Gabrielli, il pulsare al limite del basso di Simonini
e i controtempi distopici di Prota veicolano una concezione musicale
insolita, nella quale melodie di presa immediata deragliano in possenti break
strumentali che non lasciano scampo. Un esordio coi fiocchi, a testimonianza
che anche in Italia, se si ha il coraggio di sganciarsi dal contesto e di
sbrigliare l’inventiva senza logiche di mercato, sia possibile incidere dischi
di respiro internazionale.
VOTO:
8
INTERVISTA ESCLUSIVA ALLA BAND
Banale, ma
necessario. Partiamo dall’inizio: come si sono formati gli Inarmonics?
Banalmente: in un vecchio garage di periferia.
Nel marzo 2014, dopo lo scioglimento dei Delta THC, Saimon (Gianpaolo Simonini)
inizia a provare assieme agli Edmundos (band in cui militava Massimiliano).
Poche settimane dopo, arriva Luca (anche lui ex-Delta THC), reduce da un
intervento alle corde vocali. Praticamente si trattava di due gruppi (avevamo 4
chitarre!) messi insieme. Dopo un paio di mesi, anche gli Edmundos si sciolgono
e da lì nascono gli Inarmonics.
Qual è la
genesi di A Thing Of Beauty? Come sono nati i brani che lo compongono?
Provando in trio, abbiamo scoperto di
possedere una sorta di “magia” a livello musicale e compositivo, un’alchimia
difficilmente spiegabile a parole. Tutto è nato molto naturalmente,
improvvisando su temi o sequenze armonica ma mantenendo sempre una volontà
melodica, per dare spazio alla bellissima voce di Luca. Le canzoni dell’album
sono nate da frammenti di improvvisazione: prendiamo quelli che più ci
piacciono e ci costruiamo la canzone.
A cosa si
ispirano le liriche delle canzoni? Il lavoro sui testi è appannaggio esclusivo
di Gianluca (Gabrielli)?
Luca e Massi sono gli autori di tutti i testi.
Anche qui c’è molta improvvisazione: se li leggi, ti accorgi che si tratta
principalmente di intuizioni e momenti emotivi colti nell’attimo in cui nascono.
Oppure – è il caso della title-track – prendiamo spunto dai poeti che
più amiamo, in questo caso John Keats. L’idea che sta alla base dell’album è la
“Bellezza” in tutte le sue forme. Però scriviamo anche separatamente: More
Wine è farina del sacco di Luca, mentre Gone Too Fast è di Massi. Se
proprio vuoi qualche indizio su chi ha scritto cosa, sappi che le parti più
spirituali (e anche bibliche) sono di Luca…
Le canzoni
trasmettono una sensazione di presa diretta, di strumenti sbrigliati, come se
vi trovaste sul palco invece che in sala di registrazione. E’ un effetto voluto
o un’idea nata in corso d’opera?
Siamo felicissimi che tu abbia notato questo
tratto, perché il disco è stato registrato in presa diretta, praticamente un
live in studio. La nostra natura quella di “live band” e abbiamo voluto
fortemente farla emergere anche sul disco. Qualche tentativo di registrare in
modo più “tradizionale”, a tracce separate, in verità l’abbiamo fatto, ma ci
siamo immediatamente resi conto che era come se le canzoni perdessero l’anima,
quindi abbiamo rifatto tutto in presa diretta, mantenendo anche le piccole
imperfezioni. Insomma, quello che si sente è “vero”, siamo noi mentre suoniamo.
Avete già
arrangiato i brani per presentarli in concerto? Ho come l’impressione che dal
vivo le canzoni possano allungarsi a dismisura.
(Risate d’intesa). No comment! Venite a vederci dal vivo.
Nel disco si
percepiscono varie estrazioni musicali, dalla new wave al jazz, dal prog - rock
al soul.
Be’, sì, in effetti i generi che hai citato ci
sono tutti. È inevitabile portare il tuo background musicale e le tue
preferenze in quello che fai. Però abbiamo sempre cercato di mantenere una
certa originalità. Deciderà il pubblico se e quanto ci siamo riusciti.
Come siete
riusciti ad armonizzare con equilibrio le rispettive e diverse influenze?
Con grande rispetto per tutte le idee che
venivano fuori e tanta intelligenza musicale. Nessuna idea è stata scartata
prima di essere provata, e ti garantisco che ne abbiamo provate a centinaia,
soprattutto per quanto riguarda gli arrangiamenti. Diamo ascolto anche alla
minima intuizione e la mettiamo alla prova.
Mi ha
impressionato tantissimo il drumming di Manuel (Prota), tutto stacchi e
controtempi. Un modo di suonare che ricorda un tempo in cui la musica era anche
(e fortunatamente) cifra tecnica.
Manuel è un professionista e un grandissimo
talento. Ha saputo interpretare con incredibile sensibilità lo spirito delle
canzoni.
Qual è, secondo
voi, lo stato dell’arte della musica indipendente italiana? C’è un movimento valido
e credibile?
Non credo si possa parlare di “movimento” vero
e proprio, ma c’è senz’altro un grande fermento indie che bolle nel sottosuolo
del Belpaese. Il problema è un altro: manca la visibilità, mancano i canali
promozionali, i luoghi dove esibirsi, e, più in generale, la mentalità. Qui in
Italia, dove la musica è mero entertainment da piano-bar, se sei una cover
band, allora suoni un po’ dappertutto, ma se vuoi presentare qualcosa di tuo
nessuno ti fila. Manca una vera e propria cultura musicale, come quella che da
sempre esiste nei paesi anglofoni.
Se vi dovessero
paragonare a un nome noto della musica internazionale, a chi vi piacerebbe
essere assimilati?
Questa è una domanda che non ci siamo mai posti… Noi non troviamo
paragoni. Tu?
Pensavo di
risolvere il problema chiedendovelo, visto che non siete facilmente
etichettabili. Lasciamo l’arduo compito all’ascoltatore. Un’ultima domanda.
Avete già pensato a un tour di promozione del disco? Avete già deciso delle
date?
Sì, il nostro management e l’etichetta, la New
Model Label, stanno lavorando su alcune date, ma ancora non sappiamo i
dettagli. Seguiteci sulle nostre pagine Facebook e Instagram, lì daremo tutte
le informazioni.
ECCO IL LINK DOVE ASCOLTARE IL PRIMO SINGOLO TRATTO DALL'ALBUM:
Blackswan, sabato 20/05/2017
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