Dopo un pugno di Ep, pubblicati tra il 2010 e il 2014, la carriera dell’australiana Ruby Boots, nome de plume
di Rebecca Louise “Bex” Chilcott, ha avuto una brusca impennata nel
2015, con la pubblicazione del suo primo full lenght, intitolato
Solitude. Premi e riconoscimenti ottenuti in patria, la firma con la
prestigiosa etichetta Bloodshot Records e il trasferimento a Nashville,
dove la songwriter, originaria di Perth, ora vive e lavora, sono state
le ulteriori tappe che hanno portato alla pubblicazione di Don’t Talk
About It.
A
dispetto della nuova residenza, universalmente riconosciuta come patria
del country, in questo secondo disco le influenze e i suoni roots,
rispetto all’esordio di tre anni fa, sono ridotti al lumicino, quasi
insussistenti. Registrato a Dallas, presso i Modern Electric Sound
Recorder Studios, prodotto da Beau Bedford e corroborato dal contributo
dei The Texas Gentlement, session band dinamicissima, Don’t Talk About
It propone, infatti, una scaletta di sferzante pop rock, perfettamente
in equilibrio fra modernità indie e un accattivante appeal radiofonico.
Pimpante
come Nikki Lane (qui presente a dare una mano ai cori e come coautrice
di un brano) e graffiante come la prima Lydia Loveless, Ruby sfoggia
un’incredibile attitudine rock, alza il volume delle chitarre,
assecondando il suono molto immediato e potente della sua backing band. E
non dimentica, tuttavia, anche il gusto per melodie di facile presa,
distribuendo in scaletta alcune ballate davvero riuscite.
Apre
il disco l’ispido punk rock di It’s Cruel, la batteria pestata a
sangue, le chitarre sferraglianti e la voce impertinente di Ruby a
mettere subito le cose in chiaro: chi si attendeva delicatezze pop
country come Wrap Me In A Fever e Midlle Of Nowhere dal precedente
lavoro, è pregato di cambiare canale. Le chitarre, infatti, si fanno
arroventate anche in Somebody Else, power pop che corre dritto come una
Mustang decapottabile verso l’orizzonte, scaricano kilowatt di
elettricità nel finale percosso di Believe In Heaven, omaggiano grintose
Tom Petty nel rock virile di Easy Way Out o duettano, intrecciando
cromatismi byrdsiani, nel coloratissimo pop rock di Infatuation.
Poi,
ci sono anche le ballate, in cui Ruby dimostra di avere la mano
caldissima, come nella title track, che avrebbe ben figurato in un disco
dei migliori Cranberries, o nella splendida I’ll Make It Through, le
cui atmosfere noir si schiudono nella luce di un ritornello la cui
bellezza non fa prigionieri. Chiude la scaletta Don’t Give A Damn, con
in evidenza i Texas Gentlement a creare una febbricitante atmosfera rock
gospel.
Brano,
questo, che sigilla al meglio un album diretto e divertente, in cui
Ruby dimostra di avere tante frecce al proprio arco e di saper cogliere
bersagli molto distanti da quel country che aveva (ben) caratterizzato i
suoi esordi.
VOTO: 7,5
Blackswan, mercoledì 28/02/2017