lunedì 30 aprile 2018

IL MEGLIO DEL PEGGIO




"Nessuno ci dividerà". 

Non è il titolo di una canzone sanremese nè il sequel di "Io ti salverò". E' il lieto fine dell'episodio di un melodramma senza fine tra il rubizzo Silvietto e il barbuto Matteo. Si sa, l'amore non è bello se non è litigarello: i due piccioni, dopo una breve separazione, si sono riabbracciati in quel di Trieste e vivono felici e (s)contenti. Berlusconi, almeno per il momento, ritorna in singolar tenzone da combattente valoroso e irriducibile. Da Trieste in giù, Matteone prepara il ritorno da figliol prodigo in sella alla bicicletta. Dopo un giro in piazza nella sua Firenze, la "base" gli avrebbe suggerito di non cedere alle lusinghe di un accordo con i grillini. Le notti insonni hanno portato consiglio al Magnifico che, unto dal Signore, convoca un'assemblea che deciderà le sorti dell'Italia. Intanto, in casa 5 Stelle, il fornaio Di Maio, dopo avere chiuso bottega alla Lega, ora sforna michette per il PD: è la primavera, e così come germogliano i primi fiori, sbocciano anche i timidi ardori. Il giovin Luigi si invaghisce di Martina, ma il suo cuore è impegnato. Matteo, il suo amato, è in esilio ma presto ritornerà. Gli sconfitti prima o poi trionferanno e i vincitori saranno battuti. Così, Berlusconi e Renzi, usciti dalla porta, rientrano impavidamente dalla finestra e sarà di nuovo gloria nei secoli dei secoli. 

Cleopatra, lunedì 30/04/2018

domenica 29 aprile 2018

BLACK STONE CHERRY - FAMILY TREE (Mascot Records, 2018)

Da anni mi aspetto che i Black Stone Cherry facciano un definitivo salto di qualità e, invece, a ogni nuova uscita resto (parzialmente) deluso. Figli nerboruti dell’hard rock anni ’70, scorticato però dai coltellacci southern dei rangers del Kentuky, Chris Robertson e soci hanno infatti sempre diluito la propria energica proposta facendo largo uso di ganci melodici, più consoni a passaggi radiofonici in FM che a un raduno di veterani appassionati di rock sudista.
I precedenti cinque album alternavano, così, momenti derivativi, ma tutto sommato riusciti, ad altri impastoiati dalle logiche di un appeal buono per le radio ma spesso privo di genuinità. Insomma, hard rock spiccio e muscolare, sentore di salsa barbecue, piede pigiato sull’acceleratore e riffoni pesi usati come specchietto per le allodole di un suono che, in realtà, disperdeva i kilowatt in ritornelli troppo catchy per rendere il risultato finale credibile.
Con Family Tree, sesto disco di una carriera iniziata dodici anni fa, qualcosa però è cambiato. Non è certo l’originalità il fiore all’occhiello del combo del Kentucky, ma almeno questo nuovo disco è solido, compatto, martellante, di facile presa, certo, ma senza artifici melodici che diluiscono un potenziale energetico immenso. I tredici pezzi in scaletta, quindi, suonano più grezzi e ruspanti del solito e vanno dritti al centro del bersaglio, in una cavalcata rumorosa per oltre cinquanta minuti di hard rock sudista che spesso sconfina in territori heavy metal.
Il riff claptoniano e la morsa d’acciaio di basso e batteria aprono velocissimi le danze con Bad Habit, i cui concetti vengono ribaditi nell’incedere pesante e quadrato di Burnin’. L’albero genealogico sudista e la consanguineità, in questo caso soprattutto, coi Black Crowes vengono sfoggiati nelle pimpanti Carry Me On Down The Road e My Last Breath, entrambe risultato di una sour mash fermentation in botti di rovere. Finalmente, retrogusto bourbon e un Sud più verace, meno da cartolina.
L’album trova il suo vertice esattamente a metà, con l’hard rock blues di Dancin’ In The Rain, che vede alla voce e alla chitarra miagolante niente meno che Warren Haynes (Gov’t Mule), e prosegue, poi, fino alla fine che un buon filotto di canzoni, che scorrono rapide tra riff e assoli, regalandoci almeno altri due momenti di grande impatto, quali James Brown, groove funky vestito di corazza metallica, e la title track, la più melodica del lotto, ma attraversata anche dall’assolo di una chitarra che suona come un’aspirapolvere atomica, risucchiando note e pathos.
Family Tree è, dunque, un disco riuscito, che pur muovendosi su coordinate risapute e ribadendo concetti arcinoti, regala la miglior performance di sempre dei Black Stone Cherry, grazie una potenza finalmente dispiegata senza troppi filtri. A volume esagerato, l’effetto bomba è garantito.

VOTO: 7





Blackswan, domenica 29/04/2018

sabato 28 aprile 2018

PREVIEW




Il noto compositore e musicista italiano Teho Teardo insieme a Blixa Bargeld poliedrico cantante e chitarrista tedesco (Einstürzende Neubauten - Nick Cave & The Bad Seeds) formano il duo più oscuro della musica europea. 
Dopo l'uscita di The Fall, il nuovo EP rilasciato il 31 marzo da Specula Records, Teho e Blixa porteranno in Italia un nuovo spettacolo, che farà tappa il 4 maggio al Druso di Bergamo, impreziosito dalla presenza di Laura Bisceglia al violoncello, Gabriele Coen al clarino basso e un quartetto d’archi a completare il quadro.
A partire dalla celebrazione di uno dei brani più belli della storia della musica, "Hey Hey My My" di Neil Young, fino a tre nuovi brani inediti, Fall (realizzato tra Roma e Berlino) arriva a due anni di distanza dal precedente disco Nerissimo, che ha portato il duo a esibirsi in tutto il mondo.
Le date del Fall Tour 2018 toccheranno poi Udine (5/5), Torino (6/5).





Blackswan, sabato 28/04/2018

venerdì 27 aprile 2018

VARIOUS ARTISTS - JOHNNY CASH:THE MUSIC FOREVER WORDS (Legacy, 2018)

Non è questa la sede per raccontare Johnny Cash e quanto la sua figura sia stata determinante nello sviluppo del roots americano. Cash, giusto per ricordarlo ai più distratti, può essere considerato uno dei padri fondatori del country moderno, il più grande e il più amato degli outlaws, un artista che ci ha lasciato canzoni e dischi memorabili, e la cui avventurosa storia, fatta anche di sprofondi umani e artistici, è culminata, in limine vitae, in un filotto di album prodotti da Rick Rubin (la serie American), che l’ha reso leggenda anche fra le generazioni più giovani.
Cash, era anche un grande paroliere, un narratore verace che, lontano anni luce dagli zuccheri nashvilliani, creò un immaginario di prigioni, treni e strade polverose, in cui protagonisti erano gli ultimi, i diseredati, i condannati al patibolo. E raccontò anche quell’amore travolgente, tema ricorrente della sua poetica, che lo legò intensamente a June Carter fino a quando questa morì nel maggio di quindici anni fa.
Nel 2016, venne pubblicato Johnny Cash: The Unknow Poems, un libro che raccoglieva poesie, lettere e altri scritti inediti di The Man In Black, e da quel giorno, suo figlio, John Carter Cash, ha iniziato a lavorare a un nuovo progetto, che vede la luce proprio in questi giorni.
Johnny Cash: The Music Forever Words è un inusuale disco tributo, in cui non ci sono cover, meglio precisarlo subito, ma attraverso il quale, alcuni grandi artisti della scena americana (e non solo), hanno voluto omaggiare Cash con canzoni originali ispirate proprio agli scritti contenuti nel libro uscito due anni prima. Un lavoro lungo, che ha visto coinvolti quei musicisti che verso il nostro pagano un debito artistico o che semplicemente provano un’autentica venerazione (per dire, c’è anche Goin Goin Gone un brano nu soul eseguito da Robert Glasper). Una scaletta, quindi, in cui la lingua parlata è prevalentemente il country, ma nella quale spuntano anche canzoni lontane per stile e sostanza da quel genere di cui Cash era indiscusso maestro.
L'antologia è benedetta da una breve intro (Forever/I Still Miss Someone) che vede coinvolti Kris Kristofferson e Willie Nelson, due autentiche leggende dell’outlaw country e più o meno coetanei di Cash. Sono solo quarantasette secondi, che non aggiungono nulla a una raccolta eterogenea ma bellissima. In The Music Forever Words, infatti, sfilano tanti musicisti, ognuno con la propria sensibilità e il proprio stile. Non pensiate, però, di trovarvi di fronte a un lotto di brani minori assemblati per l’occasione, perché di grandi canzoni, qui, ce ne sono parecchie, a partire da To June This Morning, suonata in punta di plettro, chitarra acustica e banjo, da Kacey Musgraves e suo marito Ruston Kelly: un pezzo dolcissimo che riflette tutta la delicatezza dell’amore di Johnny verso l’adorata June.
Se la performance di Brad Paisley in Gold All Over The Ground, pur dignitosa, è molto più vicina al country radiofonico di Nashville che all’outlaw, altre canzoni sono, invece, degli autentici gioielli. Impossibile citarle tutte, ma lo swampy rocking di Jellico Coal Man, eseguita da un efficacissimo T - Bone Burnett, il country rock acustico di Them Double Blues, armonica e voce del grande John Mellecamp, e il coloratissimo bluegrass di He Bore it All For Me a opera di Dailey & Vincent, sono numeri difficili da dimenticare.
Meritano una citazione a parte altre tre canzoni, che rappresentano il meglio di questo tributo: Body On Body eseguita con tangibile pathos da una straordinaria Jewel, che dà vita a una prova vocale da struggimenti seriali, la dichiarazione d’amore per June di I’ll Still Love You, monumentale performance di Elvis Costello, voce da crooner e arrangiamenti alla Bacharach, e la superba You Never Knew My Mind, una delle ultime registrazioni di Chris Cornell prima di morire, postuma restitutio in integrum della magnifica Rusty Cage, con cui Cash in Unchained del 1996 aveva omaggiato i Soundgarden.
Un’ora di musica vera, percorsa da un autentico sentimento di riconoscenza verso il grande songwriter e da tanta, tantissima passione. Per i fan di The Man In Black e non solo.

VOTO: 8





Blackswan, venerdì 27/04/2018

giovedì 26 aprile 2018

PREVIEW





La data è ormai certa: Amanda Shires pubblicherà il suo nuovo album in studio, il quinto per la precisione, il 5 di agosto. Il disco, che si intitolerà To The Sunset ed è prodotto da “prezzemolino” Dave Cobb è stato registrato presso il mitico RCA Studio A di Nashville e vedrà il contributo di Jason Isbell, marito della Shires, alla chitarra, Peter Levin alle tastiere, Jerry Pentecost alla batteria, mentre lo stesso Cobb darà una mano con le linee di basso.





Blackswan, giovedì 26/04/2018

mercoledì 25 aprile 2018

GINGER BENDER - TIENI ACCESA LA LUCE (Rocketta Records, 2018)

Che il 2018 sia un anno particolarmente interessante per quanto riguarda le uscite discografiche italiane, soprattutto se guardiamo lontano dal circuito mainstream, è un dato di fatto che viene avvalorato, mese dopo mese, dalla pubblicazione di dischi di grande qualità. Ulteriore conferma dell’assunto di cui sopra è l’uscita di Tieni Accesa La Luce, album d’esordio delle Ginger Bender, duo al femminile composto da Alessandra Toma e Jeanne Hadley.
Un debutto sulla lunga distanza, questo, che fin dal primo ascolto cattura l’attenzione per la coloratissima gamma di canoni espressivi utilizzati, per la freschezza delle soluzioni melodiche e per le indubbia capacità tecniche di queste due ragazze dal pedigree nobilissimo. Alessandra e Jeanne, infatti, si sono conosciute durante i loro studi jazz all’Accademia Internazionale Della Musica di Milano, hanno studiato percussioni africane presso il Maestro Lorenzo Gasperoni (produttore artistico del progetto) e hanno coltivano la comune passione per l’arte di strada, viaggiando in lungo e in largo per l’Europa (Grecia, Spagna, Finlandia), dove hanno esplorato nuove sonorità e si sono esibite con numerosi musicisti locali.
Tutte esperienze che sono confluite in Tieni Accesa La Luce, un caleidoscopio sonoro ricco e variegato che amalgama con originalità jazz, blues, funky, afro beat e quella tradizione musicale italiana anni ’30 e ’40, legata al cosi detto periodo dei “telefoni bianchi”. Un melange sfacciatamente vivace, che le Ginger Bender interpretano senza dare punti di riferimento, ma attraversando i generi guidate solamente dal gusto per l’improvvisazione e dall’istinto che contraddistingue i musicisti di razza (uno sguardo ai video postati su youtube dà la dimensione di quanto possano essere coinvolgenti le loro performance live).
Ritmiche complesse e mai lineari innescano l’interplay fra due splendide voci, mentre le chitarre “black addicted” sciorinano riff uncinanti in equilibrio fra funk e blues. Questo il mood prevalente delle otto canzoni in scaletta, levigate dalla sapiente produzione di Paolo Mei, che si ascoltano tutte d’un fiato, per mezz’ora di musica che soddisfa i palati degli ascoltatori più esigenti, quelli, cioè, che preferiscono deviare dalla main street, per cercare percorsi alternativi, meno battuti, ma decisamente più ricchi di suggestioni.
Non c’è un solo filler in Tieni Accesa La Luce, e tutte gli otto brani che lo compongono, se lo spazio lo consentisse, meriterebbero una citazione, a partire dall’iniziale Cumbia Negra, singolo che apre il disco sfoggiando una variopinta veste sudamericana sotto la quale si nascondono efficaci liriche dai connotati antimilitaristi.
Difficile, però, non menzionare almeno Che Mi Importa, libera reinterpretazione di quella Che Mi Importa Del Mondo scritta da Luis Bacalov e portata al successo da Rita Pavone nel 1964, le spezie reggae che insaporiscono la dolce melodia mediterranea di Mentre Dormivo e la strepitosa This Song, autentico gioiello che riscrive in quattro eccitanti minuti un piccolo abbecedario di black music, in cui vengono magistralmente sintetizzati funky, jazz, gospel e tecnica scat. Una canzone maiuscola che sigilla un disco inusuale e divertente, in cui ogni singola nota rifugge le consuete logiche, per mettersi al servizio di una brillante libertà espressiva. Fidatevi: ve ne innamorerete, come me ne sono innamorato io.

VOTO: 8





Blackswan, mercoledì 25/04/2018