Avevamo
lasciato Shooter Jennings due anni fa alle prese con uno dei dischi più
brutti dell’anno e, probabilmente, il peggiore della sua carriera.
Countach, questo il titolo dell’album, era, infatti, una raccolta di
canzoni (alcune cover e altre originali)composte o ispirate dal
produttore italiano Giorgio Moroder: un omaggio, si fa per dire, che
assemblava un'improbabile accozzaglia di dance elettronica anni '70 e
'80 ed era pervaso da una costante sensazione di inadeguatezza.
Insomma,
la classica pisciata fuori dal vaso, che non aveva nulla a che vedere
con il suo dignitosissimo passato artistico e, soprattutto, con la
storia della sua famiglia (la mamma di Shooter è Jessi Colter,
un’istituzione femminile del country, il papà è Waylong Jennings,
semplicemente una leggenda). Se di fronte a un tale scempio, le critiche
erano inevitabili, bisogna però apprezzare in Shooter la volontà di
scartare da quell’ovvio percorso di vita artistica, sulla quale cotanta
parentela lo aveva instradato.
Shooter
ha scelto di non essere semplicemente “il figlio di” e di non adagiarsi
sugli allori di un nobilissimo pedigree, ma ha imboccato una strada
contorta e imprevedibile. Sebbene abbia rilasciato alcuni album
decisamente in linea con la storia di famiglia, Shooter si è anche
dilettato nella recitazione, ha creato la sua etichetta Black Country
Rock, ha ideato programma radiofonico SIRIUS, ha prodotto altri artisti e
ha persino lanciato sul mercato un abbigliamento da gioco. E alcune sue
pubblicazioni sono state veri e propri azzardi, con l'opera rock
distopica del 2010, l’ottimo Black Ribbons, e il pessimo Countach, di cui sopra.
Oggi,
il nostro eroe torna con un disco, il cui titolo, privo di fantasia,
evoca immediatamente un ritorno alle origini, di nuovo semplice nel suo
svolgimento che guarda al country (il valzer di Living in a Minor Key) e al rock’n’roll (Bound Ta Git Down), con un occhio puntato al Sud (Do You Love Texas?)
e uno all’appeal radiofonico, confezionato in confezione scintillante
dalla produzione incisiva del solito Dave Cobb. Ci sono anche due grandi
canzoni a completare il quadro: l’ariosa ballata pianistica Fast Horses & Good Hideouts, che sublima melodia alla Elton John e sonorità ispirate agli Eagles, e la conclusiva, umbratile, Denim & Diamonds, canzone che starebbe meravigliosamente nel songbook di Stevie Nicks.
Shooter
non è certo un disco indimenticabile, ma riporta Jennings nell’alveo
musicale a lui più consono, almeno geneticamente, confermando l’assunto
che il quarantenne songwriter di Nashville quando si confronta con le
sue radici, riesce sempre a tirare fuori il meglio di se, e quando esce
dagli schemi, può tutto, nel bene e nel male.
VOTO: 6,5
Blackswan, martedì 28/08/2018
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