Ci
sono artisti che restano per sempre legati all’illustre passato che si
sono lasciati alle spalle, e vivono di ricordi di una gloria antica,
nutrendo la propria rilevanza artistica e la propria credibilità con
l’autorevolezza conquistata nel tempo. Giorgio Canali è uno di quei
musicisti che avrebbe potuto vivere di rendita, facendosi scudo dietro
la militanza in band leggendarie come CCCP, CSI e PGR, che hanno fatto
la storia del rock alternativo italiano.
Invece,
no: Canali ha puntato tutto sul presente, si è scrollato di dosso la
pesante eredità di questa entusiasmante stagione e ha imboccato una
strada autonoma e coraggiosa, inseguendo e realizzando un’idea di rock
urticante, scomodo e passionario. Così, a nessuno, oggi, verrebbe in
mente di parlare del chitarrista originario di Predappio come di” quello che suonava nei”, salvo per spiegare a qualche ascoltatore distratto “guarda un po' cosa ti sei perso”.
La
carriera di Canali, d’altra parte, è sempre stata improntata a un
rigore artistico ed etico, che lo ha tenuto lontano da scelte furbette e
accomodanti, andando spesso in contro tendenza rispetto a un mercato,
come quello italiano, zavorrato da tonnellate di paccottiglia. La sua
autorevolezza sta proprio in questo, a prescindere dalla storia che si è
lasciato alle spalle, e lo dimostra un filotto di dischi diretti,
sanguigni e arrabbiati, capaci di raccontare il paese, la società e
sentimenti universali, senza mai abbassare la guardia o cedere alle mode
del momento.
Questo Undici Canzoni Di Merda Con La Pioggia Dentro (citazione dal suo Rojo, album del 2011) arriva due anni dopo Perle Per Porci
(inusuale disco di cover che finiva per suonare come un disco di
canzoni originali) e conferma nuovamente quanto appena scritto. Se in
tanti hanno mollato, venendo a patti coi tempi che cambiano, con l’età e
con logiche commerciali che poco hanno a che vedere con l’arte, Canali
non arretra di un centimetro e torna più battagliero che mai, tenendo lo
sguardo vigile sul mondo che lo circonda, dissacrando senza filtri la
società degli smartphone e dei selfie, ma riuscendo al contempo a
mettersi a nudo e a raccontare i propri tormenti con una semplicità e
una purezza che disarmano.
Non
sono in molti, infatti, quelli che, senza perdere il bandolo della
matassa o cedere all’ovvio, sanno coniugare all’interno della stessa
canzone parole d’amore e invettiva politica, o far convivere i più
intimi struggimenti del cuore con la disillusione e un approccio
fieramente iconoclasta.
Pubblico
e privato, passione e rabbia, riflessione e denuncia, sono gli elementi
che animano queste undici canzoni, che non sono ovviamente canzoni di
merda, ma che di pioggia, dentro, ne portano parecchia. A volte,
diluvia, e tuoni e fulmini accendono di elettricità gli scossoni di Undici o la tirata noise di Emilia Parallela,
impietosi affreschi di un paese in definitiva deriva etica; in altri
casi, invece, la pioggia scende lenta, ed è il coagulante per momenti
più raccolti, in cui la musica si scioglie in verace malinconia (Messaggi A Nessuno) o lenisce l’afflizione di un guerriero ferito ma non arreso (la tormentata richiesta di aiuto nella conclusiva Mandate Bostik).
La
presenza dei Rossofuoco, la backing band che accompagna Canali ormai da
quindici anni, innerva la scaletta di un suono ruvido, asciutto e al
contempo potente, mediando con sapienza fra sferraglianti assalti rock e
ballate declinate con scabra virilità. Il carburante nobile di un
songwriting che continua a colpire nel segno con la forza della passione
e con la lama affilata di un’irrequieta, e per questo realmente
creativa, onestà artistica.
VOTO: 7,5
Blackswan, giovedì 11/10/2018
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