mercoledì 10 ottobre 2018

PREVIEW




L’album, che segue Furnaces, uscito nel 2016, vede Ed Harcourt aggiungere una nuova freccia al suo arco musicale. Si tratta di una svolta rispetto al sottovalutato predecessore: il versatilissimo cantante, scrittore e polistrumentista elimina voce e parole per creare un gruppo di brani strumentali prevalentemente pianistici come se fossero la colonna sonora di un film ancora invisibile, quasi una risposta alla feroce sfida odierna di un pianeta urlante con una calma meditativa e ipnotica.
“Il mondo in cui viviamo – siamo esauriti da Internet, dai social media, dal fuoco di fila continuo di notizie che ci vengono vomitate addosso quotidianamente. Non puoi evitarlo ed è sfiancante. Perciò questo disco è nato come un passo indietro – è qualcosa che cerca di essere bello. La mia speranza è che le persone possano scegliere di nuotare in questa musica quando tutto diventa troppo.”
Parlando della gestazione del disco, scritto e registrato nel suo “Wolf Cabin” studio nell’Oxfordshire, Harcourt ha affermato: “Sapevo di voler comprare un nuovo pianoforte. Alla fine, ho trovato questo Hopkinson Baby Grand del 1910, che è esattamente della stessa marca ed epoca del pianoforte di mia nonna, su cui ho iniziato a studiare e col quale ho scritto i miei primi tre dischi. Mi sono sentito di nuovo a casa. Avevo bisogno di prendermi una pausa dal canto e dalle parole, così ho iniziato a comporre bozzetti strumentali. Sono cresciuto ascoltando e suonando Debussy, Satie, Mozart, Grieg così come compositori moderni tipo Max Richter, Philip Glass, Arvo Part. Ho anche amato Warren Ellis [con cui Harcourt ha lavorato per il nuovo album di Marianne Faithfull] e la colonna sonora di Nick Cave per “The Assassination Of Jesse James”… Mi alzavo in queste mattine fredde di febbraio, prendevo un caffè dopo che i bambini erano andati a scuola, poi venivo qui, chiudevo la porta e suonavo… con la neve che scendeva sulla finestra.”
Con il pianoforte accompagnato occasionalmente dal violino della moglie Gita Langley e dal violoncello di Amy Langley, l’album trasporta in una calma ingannevole che desta le più tempestose passioni interiori. Riflessivo anche se mai remissivo, è come una tempesta silenziosa.
“Non c’è nulla di artificioso in questo disco. Viene dal cuore.”





Blackswan, mercoledì 10/10/2018

Nessun commento: