“L’orgoglio è qualcosa di volubile ed è di solito fuori luogo. È come essere rollati e poi fumati.”
Capeggiati
dal texano Danny Lee Blackwell, i Night Beats sono in dirittura
d’arrivo col loro quarto album. Per quanto il leader si sia sempre
nutrito dell’eredità musicale delle sue radici texane – Roky Erickson e i
13th Floor Elevators, The Red Krayola, The Black Angels e altri ancora
che hanno aperto la strada ai viaggi psych-rock rivestiti di napalm
degli album precedenti – Myth Of A Man lo ha tirato fuori dalla
fonte surrogata di Nashville, Tennessee. È qui che Blackwell ha
lavorato con Dan Auerbach (The Black Keys) e una congrega micidiale di
musicisti – il peso combinato dell’esperienza che deriva dal lavorare
con le leggende, da Aretha Franklin a Elvis. “Ho provato una grande
umiltà nell’essere accettato,” spiega “da questi grandi cuori
tutt’intorno.”
In breve, è un album che può stare accanto ai classici, meno acido di Sonic Bloom (2013) e Who Sold My Generation
(2016). Blackwell ha ricalibrato la scrittura, l’ha rallentata a
sufficienza per permettere alle canzoni di respirare ed esistere come
qualcosa di nuovo. È un capitolo diverso dello stesso libro.
Scritto
durante un periodo particolarmente distruttivo della band, l’album è
popolato da angeli caduti, vagabondi succhiasangue e amanti vendicativi –
schizzi di persone in cui la band è sicuramente incappata durante il
suo viaggio cosmico – ma il personaggio più presente è lo stesso
Blackwell. “Myth Of A Man può essere riassunto come
un’ostentazione personale di vulnerabilità e coscienza colpevole,”
spiega, “che distrugge il mito di ciò che significa vivere e funzionare
nella società.” Con i suoi audaci passi avanti Myth Of A Man
funge da nuova introduzione alla band per come la conosciamo, la prova
più evidente che nessuno sarà mai in grado di incasellare i Night Beats.
Blackswan, venerdì 30/11/2018
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