Gli
archivi di Neil Young sembrano davvero un pozzo senza fine da cui
emergono costantemente autentiche gemme che fanno la felicità di milioni
di fan sparsi in tutto il mondo. Ci ha abituati davvero bene, zio Neil,
e non ci fa mancare proprio nulla. Così, dopo Songs For Judy,
uscito a novembre del 2018, non solo il canadese ha annunciato le
lavorazioni di un nuovo album in studio con i Crazy Horse, ma lancia sul
mercato anche Tuscaloosa, nuova gemma live pescata dal suo glorioso passato.
Il
disco è composto da undici tracce registrate la sera del 5 febbraio
1973 all’università di Tuscaloosa (Alabama), in un momento in cui la
notorietà di Young, anche in virtù del best seller Harvest,
pubblicato esattamente un anno prima, era altissima. Tuscaloosa, però,
non contiene tutto il concerto: alcune canzoni, pare, non furono proprio
registrate, altre, invece, erano troppo imperfette per la
pubblicazione. E ciò sembra plausibile, visto che, anche i brani in
scaletta, a voler essere perfezionisti, palesano evidenti sbavature che,
però, nulla tolgono a uno show con momenti davvero intensi e vibranti.
Ci sono brani che a fine 1973 confluiranno in Time Fades Away
(il live di inediti che Young ricusò per lungo tempo, perché di scarsa
qualità audio e perché foriero di brutti ricordi legati all’abuso di
droghe e alcol), due brani che compariranno addirittura in Tonight’s The Night (disco registrato quell’anno ma pubblicato solo nel 1975), la title track da After The Gold Rush e, ovviamente, alcuni high lights dal vendutissimo Harvest.
Il set è diviso in due parti, la prima acustica, con Neil in solitaria a eseguire Here We Are In The Years (dall’omonimo debutto del 1968) e After The Gold Rush, e poi con gli Stray Gators, per un filotto di super classici (Out On The Weekend, Harvest, Old Man, Heart Of Gold), fra cui brilla un’intensa Out Of The Weekend, con la steel guitar di Ben Keith a cucire la melodia sottotraccia.
La seconda parte, invece, è elettrica e ispida, e trasuda tutta l’immediatezza e l’imperfezione del live act: Time Fades Away, la rozza e potente New Mama (nell’aria, l’elettricità dei Crazy Horse) e in chiusura una crepuscolare Don’t Be Denied, sono esecuzioni un po' sgualcite ma di grande effetto emotivo.
La migliore del lotto, a parere di chi scrive, risulta Alabama,
cantata proprio nello stato da cui la canzone prende il nome (tra
l’altro, tristemente famoso in questi giorni, per la promulgazione di
leggi dal sapore medioevale), davanti a un pubblico, di cui sarebbe
stato belle vedere l’espressione del volto, mentre Neil cantava i versi:
“I’m from a new land/ I come to you and see all this ruin”.
Tuscaloosa
non è certo il miglior live uscito dagli immensi archivi di Young,
eppure, nonostante le esecuzioni abbiamo una messa a fuoco non sempre
centrata, le undici canzoni in scaletta vibrano di un’intensità
spigolosa, pungente, quasi selvaggia. Così, a prescindere da una qualità
non eccelsa, questo live resta comunque una vivida testimonianza di un
delicato momento della carriera del canadese: il successo, le dipendenze
e la trilogia del dolore che sta per bussare alla porta. Il fuoco
brucia, talvolta, divampa, e lo possiamo ascoltare mentre crepita, nelle
nostre orecchie e sulla pelle. Imperfetto e grezzo, comunque Neil
Young.
VOTO: 7
Blackswan, sabato 22/06/2019
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