Nel precedente disco degli EODM, Zipper Down (2015), risaltava in scaletta una cover, stramba assai, di Save a Prayer dei Duran Duran. Quella reinterpretazione, rimasta un unicum per quattro anni, oggi diventa il leit motiv di Boots Electric (Performing The Best Songs We Never Wrote),
disco, come si evince dal titolo, composto esclusivamente di
reinterpretazioni di brani pescati dal repertorio di altri musicisti.
Jesse
Hughes, si sa, ha sempre avuto un approccio irreverente alla sua arte,
che può piacere o meno, ma di sicuro non è mai prevedibile. I suoi
Eagles Of Death Metal, infatti, tutto suonano fuorchè il genere che si
potrebbe immaginare nel nome, e questo raccolta, che omaggia le
influenze del suo leader, pesca dai più svariati generi, a volte
distantissimi dall’immagine di rock band data dal combo californiano.
“Il motivo per cui ho deciso di fare un disco di cover” ha spiegato Hughes in un’intervista rilasciata poco dopo l’uscita di Boots Electric “è che adoro
lo spettacolo e adoro il rock e quando amo qualcosa la tengo in grande
considerazione. Questa raccolta di canzoni raccoglie quelle che mi ha
fatto venire voglia di fare musica. Immagino che questa sia la mia
lettera d'amore a tutti coloro che mi hanno ispirato”.
Come
si diceva, la scaletta non è affatto omogenea, in quanto a fonti
d’ispirazione, alcune assolutamente plausibili, altre decisamente
sorprendenti. Ci sono i Kiss di God Of Thunder ad aprire le danze, i Guns And Roses di It’s So Easy e gli Ac/Dc di High Voltage e It’s A Long Way To The Top,
fuse in un’unica traccia, ma tutte rilette secondo un approccio che
evita il copia incolla, grazie a ritmiche diverse e a un suono che sta a
metà fra il glam e un psichedelia sfocata.
Poi ci sono i brani che proprio non ti aspetti, e che rendono decisamente interessante la raccolta. Abracadraba
della Steve Miller Band, classicone del 1982 che scalò le classifiche
di mezzo mondo, resa molto sexy grazie alla presenza della cantante
Shawnee Smith, che duetta con Hughes, Careless Whisper di
George Michael, che contro ogni probabilità, risulta davvero ben
riuscita, in questa versione mutilata del celebre assolo di sax e resa
più grintosa e ricca di glamour, o una irriconoscibile Moonage Daydream
da Zyggy Stardust di David Bowie, qui suonata in chiusura e presentata
in una stramba veste sonora, come se fosse presa da una vecchia e
gracchiante registrazione fatta da Robert Johnson o Charley Patton.
Sono, però, proprio questi azzardi, coraggiosi e intelligenti, a rendere Boots Electric
un disco, di cui forse potevamo fare a meno (ma quale disco di cover è
veramente indispensabile?), ma che alla resa dei conti si fa apprezzare
proprio per lo sguardo inconsueto e irriverente.
VOTO: 6,5
Blackswan, mercoledì 11/09/2019
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