Ecco il classico
disco di cui, un buon recensore, se mai prendesse in considerazione un album
degli Status Quo, dovrebbe parlare male. Ma come? Gli Status Quo? Ancora? Ma se
sono bollitissimi…
Ecco,
se fossi un buon recensore, farei esattamente questo ragionamento e anzi, forse
nemmeno mi sarei ascoltato il disco. In realtà, dal momento che il mio livello
è molto più basso e sono affetto anche da una cronica nostalgia verso gruppi
che ascoltavo da ragazzino, Backbone l’ho ascoltato tutto, e più volte. E il
compendio di tanti ascolti, non può che essere uno: se gli Status Quo vi
facevano cagare quarant’anni fa, vi faranno cagare anche oggi; se, invece, vi
piacevano, troverete anche in questo trentatreesimo capitolo della loro
discografia qualcosa per cui godere.
In
fin dei conti la questione è semplice: la band capitana da Francis Rossi, tra
le più longeve dello star system, è dal 1968 che replica lo stesso disco, né
più né meno. Insomma, la formula è costantemente la stessa, e se è vero che da
tempo non ascoltiamo più la divertita potenza di una Whatever You Want, è
altrettanto vero che i soliti tre accordi della premiata ditta continuano a
fare il loro dovere. Che non è certo quello di scrivere pagine immortali di
storia della musica (i loro giorni di gloria sono passati da tempo), ma di
continuare a divertire con il loro boogie rock senza pensieri, leggero e
divertente in studio, e che diventa estremamente trascinante nelle esibizioni
dal vivo.
Backbone
è la fotografia esatta di tutto quello che della band inglese già si conosceva,
e se non ci sono veri motivi per acquistarsi questo ulteriore capitolo, nemmeno
ve ne sono per disprezzarlo in toto. It’s only rock’n’roll, but i like it,
diceva qualcuno, e questa è la vera essenza di una formula canzone che si
mantiene viva e vegeta da più di mezzo secolo, nonostante, è quasi inevitabile,
il tempo abbia logorato e sbiadito il canovaccio.
Il
repertorio Status Quo è completo: ci sono i riff e i ritornelli furbetti di
Waiting For a Woman e I See You In Some Trouble, imbevuti di cazzeggio
adolescenziale, c’è il rock di Liberty Lane, che inizia con il tempo tenuto al
campanaccio, stereotipo preistorico ma sempre efficace, c’è il boogie di Come
See Some Slack sorretto dall’interplay caracollante delle chitarre, l’hard rock
innocuo della title track, che sembra suonato da degli Ac/Dc profumatisi di
lavanda o i coretti acchiapponi di Better Take Care, in odore Steve Miller Band
anni ’80.
Come
detto, nulla di nuovo sul fronte occidentale: gli Staus Quo, da cinquant’anni,
sono prevedibili come un piatto di pasta in bianco, ma questo Backbone, seppur
innocuo, sa ancora divertire. I fan di vecchia data ci si fionderanno. Per
tutti gli altri il consiglio è di spararlo a tutto volume, mentre in macchina e
coi finestrini abbassati, partite per una scampagnata sotto un cielo terso e un
sole gentile. Saprà mettervi di buon umore.
VOTO: 6,5
Blackswan, martedì 01/10/2019
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