Chiedimi
 chi era Jeff Buckley e potrei raccontarti per ore quanto ho amato quel 
ragazzo dallo sguardo triste e dal cuore immenso, e quelle canzoni, che a
 ventidue anni dalla sua scomparsa, continuano a riempire le mie 
giornate di palpiti ed emozioni. Ultimo dei romantici, artista affamato 
di vita e di musica, tessitore di trame sonore scarne e sfilacciate, ma 
al contempo dense di drammaticità e tendenti all’assoluto spirituale 
grazie al timbro unico e all’estensione angelica di una voce 
impossibile, Buckley resta ancora oggi l’icona di un decennio e di un 
suono.
Protagonista
 suo malgrado di tanta letteratura musicale, a causa di quella parentela
 scomoda con un padre che non l’ha mai amato e per quel fato vigliacco 
che l’ha portato via a soli trent’anni, Jeff ha segnato gli anni ’90 con
 un solo, splendido, disco, Grace, condensato struggente di lirismo e tormento. Dopo la sua morte, un altro disco in studio, l’incompleto e altalenante Sketches (For My Sweetheart the Drunk),
 pubblicato nel 1998, e tutta una serie di live, alcuni davvero 
bellissimi, che hanno rinvigorito negli anni la leggenda dello 
sfortunato artista.
Oggi,
 Davide Combusti, in arte The Niro, e Gary Lucas, pirotecnico 
chitarrista e amico e collaboratore di Jeff, fanno un gran bel regalo ai
 tanti fan di Buckley pubblicando questo The Complete Jeff Buckley And Gary Lucas Songbook,
 ultimo tassello, in ordine di tempo, della ricostruzione filologica del
 repertorio del songwriter californiano. Le dodici canzoni contenute in 
questa raccolta erano state scritte tra il 1991 e il 1992 da Buckley e 
Lucas per la band di Gary, i Gods And Monsters, di cui Jeff era 
cantante. Il progetto, però, ebbe breve vita, e nonostante le canzoni, 
eseguite solo dal vivo, ebbero un ottimo riscontro da parte del 
pubblico, Jeff decise di lasciare il gruppo e proseguire in solitaria. 
Due di questi brani, Mojo Pin e Grace, finirono sull’album di debutto di Buckley, altre, invece, vennero pubblicate sulla raccolta Songs To No One,
 uscita nel 2002. A distanza di ventotto anni dalla genesi di quel 
progetto, The Niro e Gary Lucas hanno registrato l’intero songbook, 
includendo anche cinque canzoni mai realizzate prima.
È
 inevitabile, prima di inserire il cd nel lettore, avere delle riserve: 
come è possibile affrontare un mostro sacro come Buckley senza 
sfigurare? Dubbio lecito, ovviamente, ma che nello specifico viene 
fugato fin dal primo ascolto. Perché questo disco, ve lo dice un fan 
della prima ora, è un vero gioiello. Rispettosi, ma senza essere 
agiografici, The Niro e Lucas riportano alla luce “quel” suono 
riproponendolo con amorevole cura, ma hanno il grande merito di 
attualizzarlo e personalizzarlo, evitando così l’effetto copia carbone.
Lucas,
 non lo scopriamo certo ora, è uno dei chitarristi più tecnici ed 
eclettici in circolazione, e la percezione del suo tocco è immediata in 
tutti i passaggi del disco. La vera sorpresa del disco, però, è Davide 
Combusti, che veste gli “scomodi” panni di Jeff Buckley, regalandoci una
 prova che lascia letteralmente senza fiato. Davide possiede 
quell’estensione e, a tratti, anche il timbro di Jeff, ma dribbla la 
facile replica, riuscendo a personalizzare le interpretazioni, a fare 
sue anche quelle più note, senza così cadere nel tranello del copia 
incolla. Era questo, probabilmente, l’unico modo per far rivivere 
davvero canzoni così lontane nel tempo e dal nobile pedigree: creare una
 sovrapposizione di emozioni, quelle note, che tutti conosciamo, e 
queste, nuove di zecca, trasmesse da una voce che non imita, ma plasma 
con ardore.
Ecco allora che Mojo Pin e Grace,
 i brani più noti in scaletta, sono tutto tranne che cover, hanno 
un’anima nuova, e sono rese ancor più scintillanti da arrangiamenti che 
si scostano, e di molto, dall’originale. C’è molto altro, però, in 
scaletta, e tutto funziona magnificamente, a partire dalla sublime No One Must Find You Here, lunga, articolata e vibrante, per proseguire con la deflagrazione elettrica di Malign Fiesta o la leggerezza trasognata di In The Cantina, solo per citarne alcune.
Il
 risultato finale è un disco che, rispetto ad alcune pubblicazioni 
postume non particolarmente significative, ha invece qualcosa di nuovo e
 di importante da aggiungere alla storia artistica di Jeff Buckley. In 
queste dodici canzoni, infatti, troverete la nitida fotografia del 
songwriting di un musicista nel momento cruciale della sua esplosione 
creativa, e un omaggio a una musica immortale, attraversata ancora una 
volta dal soave respiro della “grazia”.
VOTO: 8
Blackswan, venerdì 01/11/2019 

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