Può
capitare, nonostante il successo e la fama, che qualcosa non torni, che
un ruolo o un’espressione artistica, ancorché consolidate, vadano
strette e non siano più soddisfacenti. Grace Potter a capo della band
dei Nocturnals, per un quinquennio almeno ha acquisito visibilità da
autentica star, ha venduto dischi e ha scalato le classifiche americane
con alcuni singoli, che hanno avuto un interessante riscontro anche
fuori dei confini nazionali.
Poi,
qualcosa si è rotto e quella dimensione, apparentemente appagante, ha
finito per essere solo un ingombro per una nuova avventura che,
evidentemente, la Potter sentiva più nelle sue corde. Così, gli ultimi
anni della trentaseienne cantante e polistrumentista originaria del
Vermont sono stati dedicati al cambiamento. Dopo aver sciolto la sua
band di lunga data, i Nocturnals, ha pubblicato, nel 2015, un disco
solista, Midnight, più pop-oriented. Poco dopo, ha divorziato
dal marito nonché batterista dei Nocturnals, Matt Burr, e ha iniziato
una nuova relazione con il produttore di Midnight (e di questo nuovo Daylight) Eric Valentine, con cui nel 2018 ha avuto un figlio.
Tutti
questi eventi fanno inevitabilmente da sfondo alle canzoni del nuovo
album, ne hanno in qualche modo suggerito i testi, in un ondivago
alternarsi fra la felicità per una nuova relazione e per la maternità, e
più serie meditazioni sul cambiamento e la fine del precedente
rapporto. Ne hanno soprattutto ispirato la musica. Una musica che, come
in tutti i riti di passaggio, non riesce a essere uniforme e coesa, ma
imbocca, per tentativi, diverse strade, sta in bilico fra un passato che
non può essere completamente cancellato e le pulsioni più smaccatamente
mainstream del precedente Midnight.
C’è
un po’ di confusione in queste undici canzoni, qualche momento debole,
poco centrato e non adeguatamente strutturato, ma anche il desiderio di
non accomodarsi nella comfort zone a cui per anni Grace si era abituata,
soprattutto nella seconda parte del disco, quella sicuramente più
ispirata e con i brani migliori.
Le tre canzoni che aprono Daylight, Love Is Love, On My Way e Back to Me,
sono ognuna completamente diversa l'una dall'altra, trasmettono, almeno
al primo ascolto, un senso di dispersione e non sono certo il fiore
all’occhiello del disco: il pop venato di soul della prima, il rock
grintoso della seconda e le sonorità blues gospel della terza, diluite
però dall’acqua zuccherina di archi disco dal sapore seventies, sono
episodi decisamente modesti, e suonano come se fossero delle bonus track
utili a far da riempitivo.
Le cose cambiano, però, a partire da Every Heartbeat,
canzone più legata al passato, in cui Grace dà prova della sua gran
voce su una melodia orecchiabilissima, ma non stucchevole. La vetta del
disco è la successiva Release, una ballata per pianoforte
lenta, ispirata, emozionata, attraversata da una delle migliori
performance vocali che la Potter abbia mai registrato. Un lirismo nudo e
scarno con cui Grace espone senza filtri la profondità della propria
anima, raccontando la storia della sua precedente relazione finita e
mettendo un punto alla fine di un capitolo in modo che il prossimo possa
iniziare.
Da questo momento in avanti il disco decolla, inanellando un filotto di brani tutti di buon livello, a partire da Shout It Out,
che echeggia alla Band e si sviluppa su un tappeto di organo
magistralmente intrecciato da Benmont Tench (ospite fisso in quasi tutte
le canzoni) e per finire con la splendida title track, in cui
la songwriter mostra i muscoli, sfoderando un grintosissimo cantato, che
giustifica gli azzardati paragoni letti in passato a proposito di una
somiglianza vocale con la grande Janis Joplin.
Una
canzone davvero notevole con cui la Potter sigilla un lavoro che non è
tutto della stessa caratura, ma che mostra un’artista vogliosa di
rimettersi in gioco e con tutte le carte in regola per fare bene. Basta
scegliere una strada e percorrerla con coraggio e ostinazione. Con una
voce così, tutto è possibile.
VOTO: 7
Blackswan, sabato 28/12/2019
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