Quanto
Laura e Lydia Rogers fossero talentuose e dotate, l’avevamo capito da
tempo. Eppure, come spesso accade nello show businness, scrivere grandi
canzoni non sempre è sufficiente per uscire dall’anonimato. Infatti,
perché la carriera delle Secret Sisters, duo originario di Muscle
Shoals, avesse una svolta, è stata necessaria una “sponsorizzazione” di peso, avvenuta tre anni fa con l’uscita del terzo full lenght, You Don't Own Me Anymore.
Quel
disco, infatti, fu santificato dalla produzione di Brandi Carlile, che
prese sotto l’ala protettrice le due sorelle, facendole registrare nel
suo studio casalingo, con il supporto degli Hanseroth Twins, da sempre
sodali della songwriter di Seattle. Le belle canzoni contenute in quel
disco e l’egida Carlile portarono per la prima le sorelle Rogers sotto i
riflettori, dando alla loro musica un’esposizione prima sconosciuta.
Non è un caso, quindi, che la collaborazione con la Carlile sia alla
base anche di questo quarto, bellissimo, Saturn Return.
Un disco che si apre con le armonie vocali di Silver,
brano di matrice folk, in cui le due sorelle sfoggiano subito la
specialità della casa, e cioè il perfetto interplay delle due voci. Un
brano molto legato alla tradizione, dall’andamento potente ma
carezzevole nella melodia, una foto in bianco e nero che racconta con
delicatezza la terza età (“Guarda tua madre e l'argento nei suoi capelli/Consideralo la corona più santa che tu possa indossare”) e che rende inevitabile il paragone con, mi si perdoni l’azzardo, gli Everly Brothers.
Con il secondo brano in scaletta, Late Bloomer, si cambia registro: il pianoforte, le delicate venature soul e la dolce melodia fanno pensare a una ballata di Carole King. Cabin
è, invece, il brano più rock del lotto, cresce lentamente su un’armonia
di pianoforte e chitarra acustica, e si gonfia sempre più in una
seconda parte che vibra di sferragliante elettricità. La successiva Hand Over My Heart,
mette al tappeto con una melodia che sembra rubata a una radio FM di
metà anni '70: il groove languido e l’arrangiamento zuccherino evocano
le estati di Laurel Canyon e il pop dei Mamas & Papas. Il folk in
purezza di Fair, chiude in bellezza la prima parte di un disco che fosse tutto di questo livello sarebbe da beatificare.
Da
qui in avanti, pur in un contesto di qualità, il linguaggio si fa più
prevedibile e le canzoni, comunque buone, mancano del quid di
originalità che aveva caratterizzato la prima metà (Hold You Dear è una ballata un pò troppo sentimentale per cogliere davvero nel segno e Tin Can Angel un country dall’elegante tessitura ma abbastanza scontato nello svolgimento).Chiude la melodia per grandi spazi di Healer In The Sky, brano meravigliosamente arrangiato, in cui le sorelle Rogers si cimentano in un’altra suntuosa prova vocale.
In definitiva, Saturn Return
ripropone, nella forma e nella sostanza, la consueta miscela di
americana, country e pop, declinata attraverso il suggestivo interplay
di due voci splendide, che aveva informato anche i dischi precedenti.
Mai come in questo caso, però, le due sorelle hanno trovato l'esatto
punto di fusione fra roots e mainstream, mantenendo peraltro altissima
la qualità del songwriting.
VOTO: 7,5
Blackswan, lunedì 09/03/2020
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