A tre anni di distanza dall’ottimo Two Dogs,
l’eclettico e iconico chitarrista Popa Chubby torna sulle scene per
celebrare un trentennio di carriera, con un nuovo disco di inediti, che è
a tutti gli effetti anche il trentesimo album pubblicato (live
compresi), il primo in assoluto a essere rilasciato per la Dixie Frog
Records.
Una storia, quella del chitarrista newyorkese, classe 1960, che annovera almeno un capolavoro imprescindibile (Booty And The Beast
del 1995) e un filotto di album improntati a un suono meticcio, basato
su una solida ossatura blues, ma imbastardito da inserti rock, soul,
r’n’b, pop, jazz, hip hop, grinta da bassifondi e sfrontatezza da
guascone. Non molla il colpo, Ted Horowitz, dimostrando che, oltre alla
consueta esuberante attività live, voce e chitarra non mostrano ancora
segni di invecchiamento, al pari di un songwriting che, pur non
brillando per originalità, continua a mantenere standard qualitativi
alti.
It’s A Mighty Hard Road
non sposta di un centimetro la proposta musicale del corpulento
chitarrista, che continua a miscelare generi, sfidando tutte le leggi
della coerenza, ma riuscendo ancora una volta a sfornare l’ennesimo
lavoro stranamente omogeneo, grazie a una mirabile visione d’insieme e a
idee, che seppur replicate senza soluzione di continuità, continuano ad
apparire fresche e centrate.
Si parte alla grande con lo shuffle di The Flavour Is In The Fat,
una sorta di dichiarazione d’amore per il suo peso e la buona cucina,
che fa muovere le chiappe e piace un casino per quei fraseggi di
chitarra che riempiono ogni centimetro di canzone. La title track
mostra i muscoli del rock blues, brano ruvido e diretto per raccontare
le difficoltà che ognuno di noi affronta ogni giorno per sbarcare il
lunario, e che testimonia quello che da sempre è il grande merito di
Popa: evitare pipponi jammistici e sbrodolamenti di note, per andare
subito al sodo, con pattern di chitarra asciutti e assoli brevi ma
ficcanti.
Nel disco si alternano momenti sferzanti (i caracollanti swing di Buyer Beware e Why You Wanna Bite my Bones?)
a brani che spostano il baricentro verso sonorità più morbide. Ecco,
allora, spuntare in scaletta le sonorità vintage anni ‘70 del r’n’b di Let Love Free The Day, che gira dalle parti di Barry White, o il soul piacione di The Best Is Yet To Came, ballatone pieno di speranza suonato in punta di plettro.
Come
al solito, i dischi di Chubby riservano anche delle sorprese, dovute
alla cromosomica incapacità di Horowitz di restare all’interno di schemi
prefissati. Così, come in altre occasioni, in alcuni momenti il blues
viene accantonato, per abbracciare generi completamente diversi, con
risultati, però, non sempre brillanti. Gordito, per dire, è la
classica ballata dai suoni latini, che abbiamo già ascoltato nei dischi
di Santana almeno un centinaio di volte, mentre la successiva e più
convinta Enough Is Enough apre a scenari reggae, con risultati
leggermente più originali. Due pezzi, comunque, non disprezzabili, ma
decisamente i più deboli del lotto.
Chiude il disco la cover di Kiss
di Prince, con cui Popa omaggia, con la consueta classe, uno dei
musicisti che da sempre lo hanno maggiormente ispirato. La degna
conclusione per un dischetto che ha il grande merito (e forse l’unica
pretesa) di regalare all’ascoltatore un’ora di divertimento assicurato.
Tecnica, cuore ed entusiasmo: ecco i motivi per cui Big Chubby è sulla
cresta dell’onda da un trentennio.
VOTO: 7
Blackswan, giovedì 09/04/2020
Nessun commento:
Posta un commento