Non sono mai stato uno di quelli che giudica un disco dall’età anagrafica di chi lo suona. Né ho mai auspicato il ritiro dalle scene di band dalla lunga o lunghissima militanza. Ad ascoltare, però, questo live degli Yes, o meglio, di quello che ne rimane, il desiderio di aiutare Steve Howe a compilare le carte per il pensionamento è forte. E lo dice uno che, fin da ragazzino, ha amato alla follia questa incredibile band, che ha regalato all’umanità dischi come Fragile e Close To The Edge.
La prima domanda da porsi è se ha senso acquistare il nono album dal vivo pubblicato dagli Yes negli ultimi dieci anni, e la risposta, a meno che tu non sia un parente di uno di quelli che ci suona, è decisamente no. Che poi, della vecchia line up della band, ormai è rimasto solo Howe. Si, ci sarebbe anche Alan White, che però, afflitto da problemi alla schiena, suona un po’ si e un po’ no, e viene sostituito dal più giovane Jay Shellen, che ha una decina di anni in meno. Ad accompagnare in tour i due anziani reduci, poi, ci sono Geoff Downes (tastiere), che suonò in Drama e dal 2011 è tornato a far parte nella band come membro stabile, Billy Sherwood (basso) e Jon Davison (voce), quest’ultimo un clone di Jon Anderson, a partire dal nome, pur tuttavia senza possederne la potenza e l’estensione.
Fatta questa premessa, è fuori di dubbio che le canzoni in scaletta siano, in assoluto, bellissime, alcune delle quali (Going For The One, Siberian Kathru, Roundabout, I’ve Seen All Good People, Starship Trooper) tra le migliori mai scritte dagli Yes. Il problema è, semmai, come vengono suonate, visto che i settantacinque minuti di durata della scaletta sono soporiferi come un infuso alla camomilla. Tecnicamente, i sei anzianetti non si discutono (per dire, Howe resta in piedi solo perché non tira il vento, ma è ancora capace di giochi di prestigio), ma la verve con cui vengono affrontati i brani è pari a quella di una tombolata natalizia nell’area ricreativa del Pio Albergo Trivulzio.
Contribuiscono, inoltre, ad anestetizzare ulteriormente l’atmosfera, due esiziali cover di America dei Simon And Garfunkel e Imagine di John Lennon, tanto moscie da far raggrinzire gli zebedei anche ai fan più scalmanati. La cosa più bella, ed è tutto dire, è la copertina disegnata dal leggendario Roger Dean, anche lui, nello specifico, ai minimi storici.
VOTO: 5
Blackswan, venerdì 04/12/2020
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