E’ capitato a tutti, almeno una volta nella vita: guardarsi allo specchio e non piacersi. Non è soltanto una mera questione estetica, ma c’è qualcosa di più inquietante, di più destabilizzante. Perché, talvolta, quell’immagine riflessa, che ci accompagna da sempre, ci appare come quella di un estraneo, non rappresenta la percezione che di noi stessi abbiamo nel profondo dell’anima. E così, ci percepiamo inadeguati, sfasati rispetto al mondo circostante, risucchiati in un magma doloroso di insicurezze e frustrazioni. E’ questo spaesamento emotivo che ha ispirato Lou Reed a scrivere una delle canzoni più belle e intense dei Velvet Underground. Il brano s’intitola Candy Says e lo trovate su The Velvet Underground, il terzo album della band newyorkese, il primo con Doug Yule in formazione al posto di John Cale, e il primo rilasciato per l’etichetta MGM Records.
Il brano trae spunto dalla triste vicenda di Candy Darling, attrice transgender, star della Factory di Andy Warhol, che successivamente, il 21 marzo del 1974, all’età di soli ventinove anni, morirà di cancro a seguito delle iniezioni di ormoni femminili a cui si sottoponeva. Perché Candy, all’anagrafe, di nome faceva James Lawrence Slattery, ma si accorse ben presto, durante la sua adolescenza, di essere omosessuale e di amare il travestitismo. Candy voleva essere donna, a tutti i costi: è per questo, che ogni volta che si guardava allo specchio, sentiva un profondo disagio interiore, e che scontrarsi con la realtà di tutti i giorni, era come affrontare una battaglia, che le logorava la mente e il cuore; è per questo, che si sottopose, per anni, a un’invasiva cura ormonale, che le procurò il linfoma che la uccise.
Il corpo come un involucro che spesso rappresenta un ostacolo alla felicità, alla piena realizzazione di se stessi. “Candy dice sono arrivata a odiare il mio corpo”. Recita così, l’incipit della canzone, che venne cantata da Doug Yule, perché Reed aveva problemi alle corde vocali, in quel momento consumate dai troppi concerti dal vivo. Odiare il proprio corpo perché implica un grave sfasamento con la realtà, anelare una libertà che è però destinata a rimanere una chimera (“Guarderò gli uccelli blu volare sulla mia spalla, li guarderò mentre mi passano accanto”), ambire a un cambiamento radicale, che inquieta e mette paura (“Odio le grandi decisioni, che causano infinite revisioni nella mia mente”).
Resta celebre la versione di Candy Says, che Lou Reed, nel 2005, interpretò insieme a Antony And The Johnsons, alla Carnegie Hall di New York. Il destino volle che, sette mesi prima di morire, Reed suonò ancora una volta la canzone, ancora una volta insieme a Antony, alla Salle Pleyel di Parigi. Fu l’ultima apparizione su un palco del grande musicista americano, che ci ha lasciati il 27 ottobre del 2013.
Blackswan, martedì 23/11/2021
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