Plagueboys è il terzo album dei rocker finlandesi Grave Pleasures (quarto, se contiamo anche Climax, uscito sotto l’egida Beastmilk) e arriva dopo un intervallo di sei anni dal precedente Motherblood del 2017, un disco che era stato accolto con entusiasmo dalle riviste specializzate.
Questo nuovo capitolo suona come un’esperienza immersiva nella dark wave anni ’80, sembra quasi una playlist goth risalente a quel decennio. Meno sferragliante del precedente e declinato con accenti vagamente pop, Plagueboys è un album nel quale è possibile trovare svariate citazioni di quella leggendaria stagione, e così è facile cogliere echi che rimandano ai primi Cure, ai Joy Division, ai Killing Joke, ai Sound (band che è stata vera e propria fonte d’ispirazione del progetto), ai Sisters of Mercy, agli Echo & the Bunnymen e ai Siouxsie & The Banshees.
In scaletta, dieci brani che esplorano il lato più oscuro del post punk, attingendo all'angoscia esistenziale del solo tentativo di esistere nel mondo moderno: il suono scricchiolante e abrasivo delle chitarre, il cantato salmodiante, la batteria distante e marziale, il basso che martella sull'acciaio inossidabile, dipingono scenari foschi, in cui le accattivanti melodie sono strette a tenaglia da una visione sconfortante sulla deriva etica del mondo e della società (non è un caso che la bella copertina evochi l'immaginario de Il Signore Delle Mosche di William Golding). Si respirano atmosfere classiche, in Plagueboys, ma i Grave Pleasures riescono a suonare retrò senza tuttavia far leva sulla nostalgia, perché in queste canzoni c’è comunque qualcosa di totalmente moderno.
L’opener "Disintegration Girl" introduce le atmosfere cupe del disco, evoca i primi Cure e i Joy Division, la batteria di Rainer Tuomikanto crea l'atmosfera con noiosi colpi metronomici, su cui si muovono i chitarristi Juho Vanhanen e Aleksi Kiiskilä, alternando lick puliti e distorti, mentre il vocalist Mat McNerney declama ieratico che la fine del mondo avrà la forma di una ragazza. La sublime "Tears on the Camera Lens", adotta più o meno la stessa angolazione e chiude l'album nello sprofondo più cupo, con una melodia che stritola il cuore in una morsa di inesplicabile tristezza.
Tra questi due poli, canzoni come "Lead Balloons", "Conspiracy of Love" e "Plagueboys" esplorano il genere con una maggior ricchezza espressiva, mentre la voce depressa di McNerney sviscera tutto l’immaginario nichilista di testi che concedono ben poco alla speranza. La lenta ma potente progressione di "Lead Balloons" è accresciuta dalle note taglienti delle chitarre, mentre il basso incessante che attraversa la title track porta con sé un inquietante senso di imminente tragedia, sembra di ascoltare i Joy Division, se non fosse per quel limpido ritornello che non molla i padiglioni auricolari anche ben oltre la fine dell’ascolto. "Conspiracy of Love", tuttavia, è probabilmente il momento più introspettivo di Plagueboys, poiché l'accettazione passiva e il nichilismo lasciano il posto alla speranza, mentre le chitarre prendono il volo, elevando a quote altissime il climax della canzone.
Anche il ritmo trascinante e il riff accattivante della seducente "Heart Like a Slaughterhouse" aprono uno spiraglio di luce che almeno per poco lascia sfumare l’incombente senso di malinconia che permea tutto l’album. "When The Shooting’s Done" possiede la bellezza di una vecchia canzone degli Interpol, che canzoni di questo livello ormai non ne scrivono più, "High on Annihilation" fonde mirabilmente l’oscurità dei Joy Division ad un ritmo ballabile, e nello stesso modo "Imminent Collapse" spinge l’ascoltatore verso un immaginario dancefloor situato nel cuore obliato della notte più scura.
Quasi ogni nota di Plagueboys è una disperata dichiarazione di non appartenenza a questo mondo malato, che diventa vibrante critica in "Society Of Specters", un brano la cui urgenza sputa vetriolo su una società dalla deriva etica è ormai inarrestabile.
In questi quarantatre minuti depressi e malinconici, ma figli di una scrittura lucida e consapevole, si respira il tanfo di un’incombente apocalisse, e se fosse possibile immaginare una playlist per accompagnare la fine del mondo, i Grave Pleasures finirebbe dritti nella scaletta del dj set.
VOTO: 9
GENERE: Post Punk
Blackswan, giovedì 11/05/2023
2 commenti:
Bellissimo, cupo, potente.
@Ezzelino: disco favoloso!
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