«Era quello il problema, quando le donne si disamoravano; il velo di romanticismo che avevano davanti agli occhi cadeva, e quando guardavano oltre erano in grado di leggerti dentro». Dall’autrice di “Piccole cose da nulla” e “Un’estate”, una fotografia inquieta e perturbante delle relazioni tra uomini e donne. Un giorno, tornando dal lavoro, Cathal trova la casa vuota. Eppure era tutto pronto per il matrimonio, che cosa è andato storto? Soprattutto, di chi è la colpa? Una scrittrice prende possesso della residenza dove trascorrerà un breve ritiro, la stessa in cui Heinrich Böll ha lavorato ai suoi diari. Sembra lo scenario perfetto, almeno fino a quando la presunzione di un uomo non getterà un’ombra su quei giorni. Una «donna felicemente sposata» cerca un’avventura, vuole provare il sesso con un altro. Ritroverà il brivido dell’eccitazione, ma a quale prezzo?
Dopo aver letto le ottanta pagine di questo nuovo Quando Ormai Era Tardi, è evidente, anche al più distratto dei lettori, che qualcosa nel cuore di Claire Keegan è cambiato. L’impressione è che il suo asse emotivo si sia inclinato repentinamente, facendo pendere il mood della narrazione verso un terreno prima inesplorato, dove l’odio, il dolore, la violenza e la recriminazione abbiano attecchito con radici invasive.
Se, infatti, Un’estate raccontava la lenta, sommessa, ma inesorabile crescita di un amore capace di curare le ferite del più profondo dei dolori, e Piccole Cose Da Nulla narrava il percorso di consapevolezza di un uomo buono, che mette a repentaglio il proprio avvenire per fare la cosa giusta, sgretolando con un atto di coraggio l’ipocrisia di una società cattolica basata su un perbenismo di facciata, Quando Ormai Era Tardi è solo ed esclusivamente zona di guerra, un luogo desolato in cui la speranza è morta e restano cumuli di macerie, che restituiscono una fotografia respingente e cruda, ma estremamente realistica, dei rapporti fra uomo e donna.
Ottanta pagine, dicevamo, per tre racconti che lasciano senza fiato in uno stato di attonita prostrazione, perché ogni riga trabocca di un odio ancestrale e subdolo, in un’antitesi manichea in cui non esistono il bene e il male, il buono o il cattivo, ma soltanto i protagonisti di una messa in scena livida, marionette senz’anima di relazioni private non solo di ogni connotato affettivo, ma anche, e soprattutto, di ogni pudore etico.
Uomini mediocri, nocchieri di vite di piccolissimo cabotaggio, intimamente misogini e violenti: un impiegatuccio rozzo, anaffettivo e tirchio, un professore di tedesco invidioso e inacidito dalla vita, l’avventore di un bar, apparentemente placido e affabile, che in realtà nasconde un’anima nerissima. Tre figure apparentemente grottesche, se non fosse che la realtà le ha restituite ai nostri occhi decine di volte, che entrano in contatto con un mondo femminile tutto sommato desolante, le cui protagoniste sono mezze figure, clichè spersonalizzati, egocentriche e moralmente labili.
Il conflitto è inevitabile, la violenza arde silenziosa sotto le ceneri di un fuoco apparentemente inoffensivo, ma che improvvisamente divampa con conseguenze esiziali, anche se non una sola goccia di sangue viene versata. Lo sguardo cinico della Keegan analizza e seziona, sonda il profondo di queste sei anime perse, senza però schierarsi. Il risultato è una messa in scena avvilente, in cui la speranza nel prossimo, che aveva animato i due precedenti romanzi, è totalmente adombrata dall’evidenza inquietante di un’umanità senza futuro, cristallizzata in un hic et nunc vuoto, nichilista e sconfortante.
Un libro nero come la pece, in cui, ancora una volta, la straordinaria prosa della scrittrice irlandese vince a mani basse. Una scrittura che si serve di parole calibrate, taglienti e asciutte, che nella loro apparente povertà creano immagini indelebili (il finale dell’ultimo racconto vale da solo l’acquisto del libro), dando vita a ogni minimo particolare visivo, e coinvolgendo il lettore in una lettura che è anche olfatto, tatto, gusto e udito. L’ennesimo, coinvolgente libro di una scrittrice destinata a diventare un classico, e che dopo averci gonfiato il cuore d’amore, ora sceglie di raccontarci il male. Quello con la m minuscola, quello ordinario e quotidiano, un virus che infetta l’anima, e che la società odierna, col suo moralismo solo di facciata, non smette di insufflare nelle nostre vite.
Blackswan, martedì 14/01/2025
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