Nati nel 1982 a Trondheim, in Norvegia, gli Stage Dolls, trio composto da Torstein Flakne (voce e chitarra), Terje Storli (basso) e Steiner Krokstad (batteria) e tutt’ora in attività, hanno sempre avuto un cospicuo seguito di fan nei paesi scandinavi e, per un certo periodo, anche negli Stati Uniti, mentre da noi non sono mai usciti dal limbo di band di nicchia, apprezzata solo da pochi appassionati.
Dopo una dura gavetta e un vero e proprio apprendistato sul palco (anche al seguito dei connazionali TNT), che fece circolare in patria il nome della band come una delle più interessanti nuove leve del momento, gli Stage Dolls riuscirono a strappare un contratto alla Polygram, per la quale pubblicarono, nel 1985, il loro debutto, Soldiers Gun, che ebbe un discreto riscontro in Norvegia, seguito, l’anno successivo, da Commandos (per la Big Time Records), quello che potremmo definire il disco della svolta, la cui eco, infatti, uscì dai confini nazionali per raggiungere il mondo scandinavo.
E’
solo con il successivo e omonimo album (1988) che la carriera del
gruppo, però, ebbe un’importante accelerazione, grazie a un singolo,
"Love Cries", che conquistò le chart statunitensi piazzandosi alla
quarantaseiesima posizione, e a due altre hit, "Still in love" e "Wings
of Steel", che valsero loro il disco di platino in Norvegia e un
discreto successo in ambito europeo.
Stage Dolls prosegue sulla strada già battuta dai due album precedenti, affinando però il suono e perfezionando il lavoro in fase di arrangiamenti, grazie all’ottimo lavoro di Bjørn Nessjø. Solo nove canzoni in scaletta, per un minutaggio di circa trentacinque minuti, in cui il trio norvegese leviga un Aor dal suono melodico che, qui e là, non manca di graffiare con robusti riff di chitarra: i ritornelli sono vincenti, la band suona bene, la produzione è scintillante.
E’ chiaro, tuttavia, che i trentasette anni dalla pubblicazione si facciano tutti sentire, dal momento che le sonorità sono inscindibilmente legate agli anni ’80, come dimostrano certi arrangiamenti di tastiere in brani come "Waitin’ For You", ballata romantica che oggi suona clamorosamente vintage, ma che ai tempi era perfettamente in linea con la veste formale del genere (si pensi agli Europe, ad esempio).
Resta ancora attuale, invece, la rotondità melodica e la ricchezza espressiva di un disco che non ha cedimenti, a partire da "Still In Love", opener trainata da un grintosissimo riff di chitarra e da un drumming quadrato ed efficace, che si schiude in un ritornello a presa rapidissima. Da menzionare anche la splendida "Lorraine", un miracolo di melodia che rimanda a "Photograph" dei Def Leppard, la grintosa "Love Cries", mid tempo malinconico scartavetrato dalla bella voce roca di Flakne e signature song della carriera degli Stage Dolls, "Don’t Stop Believin’" (niente a vedere con l’omonimo brano dei Journey), vero e proprio manuale d’istruzioni su come tenere in perfetto equilibrio graffio rock e melodia pop, e la conclusiva "Ammunition", altra ballata avvolta nei synth e dalle evidenti atmosfere ottantiane.
Come accennato, la carriera degli Stage Dolls continua tuttora, con una produzione centellinata con il conta gocce ma di sicuro valore (solo quattro dischi dal 1988 a oggi), e un riscontro commerciale che, a dispetto delle uscite diluite nel tempo, continua ad avere buoni numeri nella natia Norvegia e nelle terre fredde del Nord.
Blackswan, lunedì 11/03/2025
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