venerdì 7 marzo 2025

Jinjer - Duél (Napalm Recors, 2025)

 


I Jinjer hanno portato l’attenzione mediatica su l’Ucraina e su Donetsk, città da cui il quartetto proviene, per motivi, grazie a Dio, che nulla hanno a che vedere con la guerra. Loro fanno metal e lo fanno benissimo, tanto da essere considerati, oggi, una delle realtà di genere più interessanti del panorama europeo. Per ovvi motivi, richiamati anche dall’esplicita copertina che ammicca al conflitto, questo nuovo Duel è stato in cantiere qualche anno in più del previsto, interrompendo il ritmo regolare di una pubblicazione ogni due anni. Ciò non ha comunque attenuato l’ispirazione e la straordinaria forza espressiva di una band che ha riproposto tutti gli elementi distintivi del proprio suono, facendo emergere (anche in questo caso i motivi sono ovvi) il lato più oscuro e arrabbiato della loro proposta.

Il seguito dell’acclamato Wallflowers (2021) vede la band alle prese con ciò che sa fare meglio e, quindi, presentare una scaletta di undici canzoni ricche di groove e riff spaccaossa. Il fatto che ripropongano il consueto armamentario è abbastanza evidente in tutte le tracce dell’album, ma la circostanza non è necessariamente una cosa negativa, in quanto i paesaggi sonori che hanno sviluppato nel corso degli anni sono sufficientemente dinamici e imprevedibili da risultare, ancora una volta, estremamente fascinosi.

In altre parole, Duél è un disco Jinjer fino all’osso, che vive, come di consueto, nell’alternanza di alcuni passaggi melodici e avvolgenti che si contrappongono a un’armatura pesantissima, a linee di basso fragorose che innervano di metallo ogni singolo brano, a riff di chitarra focosi e ribassati e a un suono di batteria grezzo e foriero di tonnellate di adrenalina.

L’opener "Tantrum" sprinta ad alto numero di ottani e si sviluppa come un'esplosione di aggressività, mentre i ringhi di Tatiana Shmayluk, i riff di chitarra e la batteria attaccano alla giugulare, prima di stabilizzarsi nel flusso e riflusso del ritornello cantato pulito e dello screaming abrasivo della vocalist, che lasciano, poi, la scena a una suggestiva linea di basso, prima di chiudersi con una vertiginosa ripresa del refrain. È proprio questo gioco di alternanze, di esplosioni di rabbia belluina contornati da momenti di lirismo melodico, come fosse la ricomposizione di un puzzle solo apparentemente impossibile, a rendere i Jinjer una delle band europee più acclamate per capacità di scrittura e abilità tecnica.

Un altro elemento distintivo della band è la perfetta interazione tra basso e voce, e brani come l'intenso singolo "Green Serpent" lo dimostrano alla grande. In questo brano, la voce morbida della Shmayluk galleggia su passaggi complessi guidati dal basso di Eugene Abdukhanov, che conducono senza soluzione di continuità verso un passo lento, quasi doom, coronato dall’incredibile performance della vocalist.

Altrove, brani più fluidi, come "Hedonist" o "Kafka", trovano un maggior appiglio melodico, scartavetrato però da improvvisi screaming che ne rendono volubile la dinamica.

Per converso, la brutalità e l'aggressività senza compromessi di "Rogue", o la frenesia quasi thrash di "Fast Draw" non sono solo brani degni di compulsivo headbanging, ma anche una vetrina per comprendere quanto la band sappia far male ai padiglioni auricolari, quando sceglie la strada dell’aggressione dura e pura.

In tal senso, i Jinjer Tendono a picchiare par la maggior parte della scaletta, e sono pochi i momenti di tregua che attenuano questo assalto sonoro, quali la già citata “Green Serpent”, o la melodia fangosa di “Tumbleweed”, o il primo singolo pubblicato, “Someone’s Daughter”, brani che ammorbidiscono un mood altrimenti letale.

Ne deriva che Duél è decisamente l’album più pesante e arrabbiato dei Jinjer fino a oggi, nonostante sia quello che mette maggiormente in mostra la gamma pulita del cantato di Tatiana Shmayluk, la cui presenza scenica e interpretativa è la chiave di volta che regge le sorti della band. Non manca la melodia, certo, ma questa passa in secondo piano innanzi alla cruda intensità di travolgenti groove e furibondi riff, che alimentano una corrente sotterranea di rabbia e di dolore per un paese, l’Ucraina, devastato dall’insensatezza della guerra.

Voto: 7,5

Genere: Prog Metal, Djent, Metalcore

 


 


Blackswan, venerdì 07/03/2025

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