lunedì 22 settembre 2025

King Witch - III (Listenable Records, 2025)

 


Se amate il genere, un incandescente magma di stoner, doom, metal e hard rock anni ’70, dovrete farvi violenza per togliere dal lettore il terzo album in studio degli scozzesi King Witch, intitolato semplicemente III.

In primo luogo, e partiamo dall’elemento più evidente, avere nella line up quella che a tutt’oggi è quasi certamente la miglior cantante di genere in circolazione, aiuta. E non poco. Laura Donnelly è una forza della natura, per potenza ed estensione la sua voce travolge con la furia di un uragano, è acciaio temperato, incudine e martello, fuoco e fiamme e, al contempo, è capace di adagiarsi sul velluto con inaspettata sensualità. Certo, anche il più grande cantante al mondo ha bisogno di una band che lo assecondi, lo sostenga, ne metta in risalto le straordinarie doti. E qui, entrano in scena gli altri due membri del gruppo: il chitarrista/produttore Jamie Gilchrist e il bassista Rory Lee, i cui riff rivoluzionari, radicati nel doom, nel rock anni '70 e nel grunge, esaltano il talento incendiario della Donnelly.

Da quando sono apparsi sulla scena nel 2015, i King Witch hanno evoluto la loro direzione artistica attraverso due album e due EP. Il loro debutto del 2018, Under the Mountain, aveva impressionato grazie a una scrittura solida e a performance potenti, mentre il successivo, Body of Light (2021), ha aggiunto un ulteriore tassello al carisma della band, enfatizzando le dinamiche attraverso cambi di tempo e una scrittura più umorale.

Con III, i King Witch mirano a combinare gli aspetti migliori dei loro lavori precedenti e a elevare il loro sound a un livello superiore, riuscendoci e superando di gran lunga le aspettative.

III presenta, infatti, una scaletta di canzoni di prim'ordine, che mettono in risalto, accentuandoli, i punti di forza dei King Witch. Il primo dei quali, come detto, è la voce della Donnelly che domina incontrastata, forgiando inni rock grintosi ("Digging in the Dirt", "Suffer in Life"), abbracciando inaspettate atmosfere acustiche ("Little Witch") e disegnando segmenti introspettivi ("Behind the Veil", "Last Great Wilderness") con il suo impressionante vibrato e la sua vasta gamma espressiva.

La versatilità di Gilchrist traspare da una sequenza di riff memorabili, che plasmano senza sforzo una miscela di doom, stoner, grunge e classic rock in un insieme coeso. Dai pesanti passi di "Sea of Lies" ai ritornelli intrisi di blues di "Deal with the Devil", Gilchrist assembla un retroterra ispirato e magnetico di influenze, attraverso le quali accosta i generi con una naturalezza che non ti aspetti. Alla batteria, il sessionista Andrew Scott (Paul Gilbert) sviluppa ritmi dalle profondità sabbathiane, che insieme al basso incalzante di Lee, producono un tiro alzo zero che rafforza il potente attacco messo in scena dal quartetto.

Grazie alla brillante produzione di Gilchrist, poi, tutto su III trabocca di energia e grinta, esaltando un sound geneticamente affine a quello dei Candlemass e dei Black Sabbath.

Dal punto di vista del songwriting la band utilizza strutture convenzionali con una inaspettata concisione e navigata maturità. L'abilità del quartetto nel variare sottilmente ì brani, anche quelli più lunghi, per catturare l'attenzione dell'ascoltatore, rende l’incedere del disco oltremodo suggestivo. Ritornelli ripetuti spinti al parossismo dalla voce della Connelly ("Sea of Lies"), bridge delicati e cupi che offrono un contrasto dinamico a improvvise ripartenze ("Last Great Wilderness") e spettacolari variazioni acustiche/elettriche che mettono a fuoco le performance di Scott e Lee ("Behind the Veil"), aggiungono nuove dimensioni all'interno di strutture strofa-ritornello altrimenti prevedibili.

Allo stesso tempo, queste variabili, a volta solo sfumate, garantiscono alle performance di base la libertà creativa e lo spazio per mostrare coraggio, mentre la durata succinta di III impedisce che le emozioni ristagnino.

In questo contesto, gli assoli di Gilchrist impressionano costantemente, fondendo virtuosismo e fraseggi blues con un feeling umorale straordinario, senza mai eccedere in lunghezza o equilibrismi fini a se stessi.

Tuttavia, come già accennato, la voce di Laura Donnelly rimane la forza dominante nella musica dei King Witch, e la sua interpretazione incredibilmente emozionante e potente rende III un'esperienza davvero esplosiva. Portabandiera della band, la sua voce è un capolavoro di drammaticità, potenza e controllo dinamico. La sua estensione vocale è fuori scala, guida i ritornelli e le melodie accattivanti con un’irruenza selvaggia ("Swarming Flies"), si abbandona a momenti traboccanti sensualità e sentimento ("Deal with the Devil", "Last Great Wilderness") e si cimenta anche in falsetto ("Sea of Lies").

E quando, come bonus track, parte l’assalto all’arma bianca di "Jesus Christ Pose" dei Soundgarden, in una versione tanto oscura quanto brutale, è chiaro che, probabilmente, nessuno al mondo può confrontarsi con l’immenso Cornell, pareggiando la sfida, come questa straordinaria cantante, figlia prediletta del dio metallo.

Difficile trovare un difetto a questo III, un disco che fonde magistralmente tutti i punti di forza della band e si propone come uno dei migliori album metal dell’anno.

Voto: 9

Genere: Doom, Stoner, Hard Rock, Metal

 


 


Blackswan, lunedì 22/09/2025

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