mercoledì 24 settembre 2025

Suede - Antidepressants (BMG, 2025)

 


Quando nel 2022 gli Suede pubblicavano Autofiction, interrompendo uno iato lungo quattro anni, non avrei mai immaginato che quel disco risuonasse ancora con continuità dalla casse del mio stereo. Perché, oggi come allora, è un album che ha molte cose da dire e che continua a emozionarmi, tanto che, nella mia classifica personale dei dischi della band britannica, si piazza nelle prime posizioni a fianco di riconosciuti capolavori come Dog Man Star (1994), per citarne uno.

Non è da meno questo nuovo Antidepressants, decimo full length degli Suede e il secondo della loro trilogia di "album in bianco e nero", iniziata proprio con il citato predecessore.

Descritto all'inizio di quest'anno dal frontman Brett Anderson come il disco post-punk della band, Antidepressants trae certamente spunto da svariati artisti associati a quel genere, visto che molte delle undici canzoni in scaletta presentano tratti musicali non dissimili da gruppi iconici come, tra gli altri, Sound, Siouxsie & The Banshees, The Sisters of Mercy.

Ciò nonostante, quantunque posa essere forte il richiamo agli anni d’oro del movimento, il disco è inconfondibilmente Suede nel feeling e nella struttura, tanto che, a un orecchio allenato, suona immediatamente famigliare il timbro vocale di Anderson e l’abilità tecnica dei suoi quattro compagni (Richard Oakes alla chitarra, Mat Osman al basso, Simon Gilbert alla batteria e Neil Codling alle tastiere) nel replicare, con altri mezzi, quei toni e quelle melodie divenute nel tempo un marchio di fabbrica.

Se Autofiction era il sound degli Suede che approfondivano le proprie radici punk, Antidepressants è la band che compie il passo logico successivo. Umbratile e malinconico, ruvido e spigoloso, crudo e incisivo.

Dal momento in cui "Disintegrate" apre l'album con il mantra "disconnesso, connesso", e con quella voce “fuori campo” presa in prestito dall’eredità di Ian Curtis, Antidepressants si presenta subito come un viaggio coraggioso e inebriante in territori completamente nuovi. Il beat ansiogeno e lo strappo di una chitarra rabbiosa spingono l’ascoltatore in quei cupi passaggi sonori che andavano per la maggiore nei primi anni ’80, fino a quando, almeno, non entra la melodia cristallina del ritornello, la cui genetica è inequivocabilmente Suede. Che restano loro, cercando di non esserlo.

Ognuno degli undici brani di Antidepressants, magnificamente prodotto dal sodale di lunga data, Ed Buller, scorre con un'immediatezza che lascia senza fiato, aggiungendo man mano nuovi elementi a una narrazione che, però, più coesa non potrebbe essere.

La title track sferra contro la bella melodia e il word spoken di Anderson esiziali sportellate elettriche, come avrebbero fatto i Sound dell’indimenticato Adrian Borland, mentre l’altrettanto incisiva "Dancing With the Europeans" accende le polveri con un riff cadenzato che sembra pescato dal (breve, ma suntuoso) songbook dei La’s, prima di esplodere in uno dei momenti più innodici del disco. E se cercate un’altra perla, dedicatevi all’ascolto compulsivo di "Trance State" che, evocando i Cure, riaccende la tensione che aveva attraversato la palpitante "The Only Way I Can Love You" da Autofiction.

Come ogni disco degli Suede, anche questo contiene alcuni brani che potrebbero essere descritti come "ballate", sebbene nel senso più gotico del termine. "Somewhere Between An Atom And A Star" è sospesa in un involucro lattiginoso, che piano piano si dischiude per librarsi in cielo, fremendo di estasi cosmica, mentre la conclusiva "Life Is Endless, Life Is a Moment" ammanta un pensiero positivo in una strana sacralità presbiteriana, che passo dopo passo affonda in una malevola e catacombale oscurità, appena scalfita dal baluginare di una chitarra tagliente (qualcuno ha detto Cure?). Due brani stellari, a cui si aggiunge la caligine affranta e il gocciolio malinconico di "June Rain", probabilmente il brano più struggente dell’anno, grazie soprattutto all’interpretazione vocale di Anderson, che risuona come la ferita sanguinante di un cuore andato irrimediabilmente in frantumi.

È la musica spezzata e sono le persone spezzate che salveranno il mondo!" canta Brett Anderson nella tirata fremente di pathos di "Broken Music for Broken People". E’ questo forse il senso finale di un’amara riflessione sul disagio di vivere nel ventunesimo secolo, in questa società di morte e dolore, di ansia e frenesia, di solitudine e incomunicabilità, che finisce per incrinare le certezze delle nostre povere e tremanti anime: un musica cupa e sofferente, ma ancora scalciante e vitale, carburante nobile di chi non si rassegna a essere ostaggio, di chi, nonostante tutto, non si arrende, e guarda in faccia all’esistenza con ostinato ardore.

"Life Is Endless, Life Is a Moment (but oh what a moment!)".  

Voto: 8,5

Genere: Post Punk





Blackswan, mercoledì 24/09/2025

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