Ieri, la Suprema
Corte di Cassazione ha confermato le condanne per venticinque degli agenti di Polizia
che, durante il G8 di Genova, trasformarono per una notte la
scuola Diaz in una tonnara ribollente di manganelli e vili pestaggi. Finalmente,
dopo undici interminabili anni, è stata fatta giustizia e i magistrati
hanno in parte restituito al nostro paese quel senso di legalità che sembrava
essersi perso per sempre. Alla Diaz, a Bolzaneto, in piazza Alimonda. Ma ci sono ferite che non possono essere rimarginate,
traumi così invasivi e profondi per i quali non esiste cura. I ricordi
non se ne vanno, così come il terrore e la paura. Nè tutte le lacrime
versate, di dolore, di rabbia, solo ieri, finalmente, di gioia, sono state
in grado di lavare quei pavimenti orribilmente macchiati del sangue di tanti
innocenti. Perchè non erano i lividi, le fratture, le mutilazioni a farci
male. Non le feroci torture di questi miserabili aguzzini in
divisa.
La violenza in sè, tutto sommato, può essere
esorcizzata o dimenticata o nascosta in un remoto anfratto
dell'anima, pigiata in fondo, sempre più giù, perchè non possa mai
riemergere. C'è altro che ha inciso profondamente sulle
nostre vite, ed è quello sgomento che nasce dal senso di impotenza innanzi alla
tracotanza del potere, da un desiderio di giustizia frustrato dal comportamento
omertoso delle forze dell'ordine e dall'incomprensibile afasia delle
Istituzioni, dall'estenuante lentezza con cui solo ieri la magistratura è giunta
ad applicare la legge in modo compiuto e definitivo. Tutto ciò putroppo non
potrà essere cancellato da una sentenza che, per quanto ristabilisca un
minimo sindacale di giustizia, lascia ancora inevasi molti interrogativi. Che
sono poi quelli decisivi delle responsabilità politiche. In quei giorni, a
Genova, tornammo a vivere sotto il fascismo, si spensero le luci della
democrazia e precipitammo tutti, nessuno escluso, nel livido baratro
della dittatura. I nomi dei mandanti di quello sconquasso istituzionale li
conosciamo bene : Berlusconi, Scajola, Fini. Furono loro ad armare i manganelli
alla Diaz e di questo devono rispondere, se non alla legge, quantomeno alla
società civile e alla Storia. Fino a quando non succederà, fino a quando
cioè le Istituzioni non prenderanno distanza da costoro che,
ahimè, ancora le rappresentano, la nostra democrazia sarà condannata
a vivere in un limbo di indeterminatezza e le nostre ferite a
sanguinare. Perchè ciò si realizzi, una sentenza, purtroppo, non
basta.
In un'ipotetica tenzone fra i gruppi più sconosciuti in terra italica,i Microdisneyconcorrerebbero senz'altro per aggiudicarsi le prime
posizioni.Certo,qualche momento fugace di celebrità l'hanno avuta anche
loro,a metà degli anni '80 ma comunque mai
al di fuori dei confini del Regno
Unito. Si trattò di ben poca cosa
però, e non proporzionata agli effettivi meriti della band ( con il
disco di cui si parla oggi conquistarono comunque il primo posto della classifica indie
britannica ), che nonostante una discografia qualitativamente altalenante, quando giunse al top della forma, sfornò un pugno
di canzoni pop connotate da una verve compositiva che suona ancora
originalissima. Vale la pena,
dunque, salvare dall'oblio questo "The Clock Comes Down The Stairs ",che forse non sarà un disco imprescindibile e seminale,ma che di sicuro racconta molto bene un periodo musicale in cui inizia a prendere forma il brit
pop che poi, qualche anno più tardi, troverà la sua più alta espressione attraverso
band come Blur, Oasis, Pulp, Suede e soprattutto nell'unico, e questo si
irrinunciabile, omonimo disco dei La's. La storia dei Microdisney,
che nascono come duo e diventano in poco tempo un quartetto, sviluppa la sua trama su quel canovaccio di
casualità e colpi di fortuna che ha accomunato tante giovani band in cerca di
notorietà. Il cantante Cathal
Coughlan e il chitarristaSean
O'Haglan ( quest'ultimo,in seguito,formerà gli High Llamas
) giungono a Londra dalla natia Irlanda ( Cork ).I due, che suonano in piccoli locali underground della
città, vengono notati dal
guruJohn Peel, che completa il combo
con il bassista John Fell e il
batterista Dave Galvin, e lo manda in sala
di incisione a registrare le prime canzoni. Il suono un pò ruvido e grezzodegli esordi viene progressivamente
ammorbidito, si fa più melodico e " charts oriented ",fino a confluire, in forma finalmente
organica, in The Clock Comes Down The
Stairs, che può definirsi,a buon
ragione, il miglior lavoro dei Microdisney oltre cheuna piccola gemma dell' indie-pop ( il disco è pubblicato dalla
mitica Rough Trade,casa discografica resa celebre per aver abbinato il
proprio marchio ai lavori degli Smiths ).Le dieci canzoni in
scaletta fondono alla perfezione il suono brit
della tradizione ( Beatles,
Kinks ),le sensazioni
musicali del momento ( Prefab Sprout e Smiths ) e
soprattutto infuenze americane,con aperture melodiche che richiamano
alla mente qualcosa dei Beach Boys e molto dei coloratissimi giri di
chitarra che erano il marchio di fabbrica
del suono Byrds.Il tutto incorniciato nelle liriche argute, raffinate e volutamente non sense di Cathal
Coughlan.Piacevolmente frizzanti e talvolta intrise di una malinconia dimessa e
colloquiale, le canzonidi The Clock Comes Down The Stairs scivolano sul
velluto di emozioni leggere, che non lasciano segni in profondità, ma solo
un buon sapore fruttato sulle labbra. Dall'ironia iniziale diHorse Overboard al singolo
giocoso Birthday Girl, dall'incedere incalzante diGenius fino all'intermezzo dai chiaro-scuri melodrammatici ma mai invasivi di Are You Happy ?che gioca a rimpiattino con la lingua
smithsiana, il pop dei Microdisney segue il filo di un cromatismo
assai eterogeneo ( eppure non confuso ), e fotografa una creatività
compositiva che in seguito ( Crocked Miles e 39 Minutes ) non sarà mai più così
sincera.The Clock Comes Down The Stairs non avrà di certo cambiato il corso della
storia,ma di sicuro resta un gran bel disco ( votato nel 1989 dal quotidiano irlandeese The
Sunday Tribune miglior album del decennio), grazie
alla semplicità degli
arrangiamenti e alla fascinosa freschezza delle composizioni. Dispiace,
quindi, che di quest'opera non si ricordi quasi più nessuno e che i
Microdisney siano solo il
ricordo di una meteora nel bagaglio
musicale di qualche incallito melomane, qual è il
sottoscritto.
Poche
volte mi è capitato di poter ascoltare la musica in un luogo appartato , dove
veramente le note si sposano con la natura. Spesso tutto questo , tende a
mgliorare qualsiasi prestazione, eccetto concerti indimenticabili che non
possono essere serviti ad un pubblico ristretto. L'entroterra ligure si presta
moltissimo a questo genere di manifestazioni, e mi stupisco sempre come non
venga maggiormente sfruttato. Pazienza! C'è un paesino medievale , chiamato
Dolceacqua (e già il nome dice tutto...) dove saltuariamente in estate si fanno
concerti musicali di vario tipo. Mi offrii per una breve conversazione con
Francesco De Gregori , che già avevo incontrato , ma non in prima persona. Mi
piace molto la musica del principe e in quell'angolo particolare di natura ,
risultava ancora più suadente . Appena entrai nello spazio adibito
non per molte "anime", mi stupii come le prime file fossero
occupate tutte da persone disabili, non perchè questi non abbiano diritto come
gli altri a godere delle bellezze dell'arte anzi, ma era un quadro insolito,
perchè al centro del tutto , era sistemato Bertinotti con consorte!
Mah...strana locazione...Andai velocemente da De Gregori , che sapevo
disprezzava nella maniera più evidente tutte le forme di interviste, anche se devo
dire che lo trovai abbastanza migliorato.
E' un ariete come me , e invecchiando
checche' se ne dica , gli arieti migliorano ( il carattere s'intende).. a
differenza del luogo comune che il trascorrere degli anni , peggiora tutto! Non
mi accolse a braccia aperte , questo è certo, la ruvidezza dei modi resta , ma
sapevo con chi giocare e mi adattai con estrema facilità. Poche domande, niente
vita familiare, le sue " creature " piacciono o meno", chi vuole
lo sente , gli altri cambino registro, la sua poca partecipazione al colloquio
è dovuta al carattere , che come le sue canzoni, o piace o si sa cosa fare...
Più chiari di così!!! Uscii sorridendo, felice di vederlo così schietto e
diretto come sempre e mi avvicinai al posto assegnatomi. Scherzi del destino.
Incontrai un'amica che da secoli non avevo più visto e la cosa mi rallegrò
ancora di più, perchè senza dubbio non rientrava molto nella norma dei
soggetti. Dopo i primi scambi di solite parole , con attenzione sentimmo il
concerto del Principe. La cosa che ci faceva specie, era l'assoluita immobilità
delle persone. Non un applauso anche in sordina, non un moto di allegria o
compiacimento, non un gridolino soddisfatto, niente di niente. Alle note di
alcune canzoni di " Titanic" ( a mio avviso uno degli album migliori)
, incominciammo ad agitarci e preso coraggio, ci alzammo e accennammo qualche
passo di danza , considerando la scarsa disponibilità a muoverci, convinte che
qualcuno ci avrebbe seguito. Il risultato fu negativo, anzi ci guardavano tra
la curiosità e la critica feroce, ma questo è nulla. Pochi giorni dopo,
leggendo , e lo ricordo perfettamente "La Stampa", vidi un articolo
fatto proprio su questo avvenimento, dove inoltre era spiegato che nel bel
mezzo del concerto , due "ragazze scatenate , sensualmente" ballavano
al ritmo di Francesco, prese senza dubbio dall'ebbrezza del vino Rossese. Risi
di gusto. Prima di tutto per le "ragazze", e la giornalista doveva
avere la vista molto corta. Seconda cosa per il ballo scatenato e sensuale che
avevamo fornito , ignorando forse che lo scatenamento mal si addice alla
sensualità. Terza cosa , l'ubriacatura con il Rossese, che , magari avessimo
potuto gustare , ma dato il costo , propio c'eravamo accontentate di una
semplice birretta. Telefonai alla " Stampa" per parlare con la gentil
donzella , ma risultava a tutti fuori sede. Peccato, l'avrei anche
ringraziata..Nel buio della notte , eravamo diventate più note del nostro caro
Francesco De Gregori......Potenza dell'immaginazione!
Salva qualche
significativa eccezione, quasi tutti, chi più chi meno, combattiamo la nostra
battaglia quotidiana con la vita. La sveglia che ci desta a ore antelucane,
magari dopo una notte praticamente insonne per colpa di caldo e zanzare ; il
traffico che ci attende inesorabile appena usciamo dal cancello di casa ; i mezzi
pubblici stracolmi, privi di aria condizionata e aromatizzati alla
fragranza "eau de vott ur de lavurà"; l'intera giornata passata a fare un
lavoro di merda, alle dipendenze di un capo a cui, nella vita reale (
quella cioè lontana dalla logica ricattatoria : " ti do lo stipendio e quindi
obbedisci " ), non ti fideresti nemmeno a fargli lavare la
macchina o tagliare l'erba del prato, a contatto con colleghi petulanti e
meschini, a smazzare grane e pelare gatte di cui non ti fotte un'emerita
ceppa. E poi, bollette da pagare, adempimenti e scadenze da tenere
sotto controllo, i conti che non tornano mai, le rinuncie, la cinghia stretta
fino all'ultimo buco, un mutuo da accendere ogni volta che decidi di fare il
pieno alla macchina ( io però continuo a fare come ai tempi dell'università:
massimo un deca e vediamo dove si arriva ), la speranza che non ti venga il mal
della pecola e quindi non si debba spendere in dottori e medicine, i vicini che
cacano il cazzo se alzi troppo lo stereo e poi magari si mettono a
trapanare alle sette di mattina della domenica, appena poco prima che citofonino
i testimoni di Geova. Tutti i giorni così, uno dopo l'altro. E ogni giorno hai
l'impressione di correre una maratona a piedi nudi, di partecipare ai mondiali
di decathlon con una zavorra da dieci chili che ti grava sulla schiena. Ci
vuole un fisico bestiale e, soprattutto, un livello di tolleranza alle frustrazioni altissimo,
roba che la serafica atarassia di Gandhi al confronto appare come lo sbraitare di uno schizofrenico affetto da sindrome
bipolare. Ingoi, fai finta di nulla e dentro te trovi risorse che nemmeno sapevi
esistessero. Ogni tanto ti viene da lamentarti, e finisci anche per sentirti in
colpa, perchè in cuor tuo sai di essere un fottutissimo privilegiato, dal
momento che hai una casa, un lavoro e, a parte qualche sporadico acciacco, tutto
sommato godi di ottima salute. Eppure sei un vulcano silente, dentro te
ribolle un magma incandescente pronto a eruttare non appena i livelli di guardia
si abbassano un poco.
E prima o poi succede che il livello si abbassi, magari per una banalità
e solitamente quando ti trovi davanti il classico deficiente. Il deficiente
è come il pesce siluro: non sai come abbia fatto ad arrivarti fra i coglioni,
eppure infesta il tuo ecosistema e si riproduce alla velocità della luce. E' un
predatore di tranquillità, spesso assume colorazioni tendenti al marrone ( come dubitarne ? ),
ha gli occhi piccoli perchè non vede al di là del proprio naso e ha
una bocca enorme, dalla quale fuoriescono cazzate sesquipedali. Sei
nervoso, stanco, stressato, non ne puoi più ? Ecco che spunta il deficiente.
Pretestuoso, ignorante, capzioso, polemico, arrogante se esercita un
potere, ma servile e prono con i più forti, solitamente il
deficiente decide di romperti i coglioni per un'inezia, una quisquillia, un
ammenicolo o una pertinenza. Insomma, un quid sul quale chiunque sorvola, ma non
lui. Perchè è incapace di pensare che una cosa possa essere fatta anche in
modo diverso, perchè ritiene che la fiscalità sia un merito e lo zelo una
virtù. Lo guardi con aria interrogativa, cerchi di rivolgerti a lui in modo
distaccato, ti spieghi educatamente un paio di volte, ma poi non ce la fai più e
l'embolo parte. Inesorabile. Un fiotto di rosso acceso che ti oscura la
vista, ti annebbia il cervello e ti tende i muscoli delle braccia. E
allora, succedono cose così.
Ricevo dalla nostra freelance Cleopatra e integralmente pubblico.
Patrizia Moretti merita la
solidarietà e il rispetto di noi tutti.E' la madre di Federico
Aldrovandi,il diciottenne morto sette
anni fa dopo un pestaggio ad opera di quattro agenti di polizia ( con
licenza di uccidere, aggiungerei ) che
ovviamentenulla hanno a che
fare coi tanti onesti servitori dello Stato che ogni
giorno sono in trincea a rischiare la propria vita per la nostra
sicurezza.
"Quattro schegge impazzite in preda a un delirio " li ha
correttamente apostrofati il Procuratore Generale nel processo appena
conclusosi in Corte di Cassazione, con
la conferma della condanna definitiva a 3 anni e 6 mesi per omicidio
colposo. E qui casca l'asino, perchè la
pena è in larga misura coperta da indulto e i quattro poliziotti,uno dei quali è una donna,sono attualmente in servizio. Abbiamo
scherzato,verrebbe da dire. Proprio in questo momento si inserisce l'episodio
che vale la pena di raccontare. La madre del ragazzo commentando la
sentenza,ha comprensibilmente auspicato
l'adozione di provvedimenti alternativi nei confronti dei quattro
energumeni, mentre il Ministro
dell'Interno, Annamaria Cancellieri, usando formule e locuzioni
dubitative, ha differito ogni decisione a
dopo la pubblicazione della sentenza. Cosicchè uno dei quattro
giustizieri,tale Paolo Forlani,ha pensato di affidare le proprie
esternazioni a Facebook, etichettando la madre del ragazzo come "falsa e ipocrita", augurandosi che la stessa non possa "godersi"
i soldi del risarcimento ricevuto dallo stato italiano.
L'agente ha inoltre rincarato la dose, facendo riferirimento al " manuale del bravo
genitore" , e precisando che " se Patrizia Moretti avesse saputo fare la madre
non avrebbe allevato un cucciolo di maiale ". La prevedibile conseguenza
è stata una querela sporta dalla famiglia Aldrovandi, a cui sono seguite le scuse di un pentito
Forlani che, con il capo cosparso di
cenere, ne ha invocato il perdono, descrivendosi "sotto pressione" da sette
anni. Sette anni di pressione ? E che dire dei sette anni di dolore e di
disperazione di una madre che sopravvive ad un figlio? Questo non è altro
che l'ennesimo esempio di ordinaria ingiustizia che, purtroppo,ne evoca altri : Stefano Cucchi,Giuseppe Uva,Michele Ferrulli,la scuola
Diaz nel 2001,tanto per citare i più
noti. Vite spezzate,vuoti a perdere
accomunati da uno scarsa reazione di indignazione da parte dei media e,in primis,della politica ( basti ricordare per il
caso Cucchi la dichiarazione delirante e piena di disprezzo
dell'allora Ministro Giovanardi : " Cucchi? Era un drogato e un anoressico
" ). Ma chi era Federico? Certamente
non uno sbandato senza famiglia nè tantomeno uno scappato di casa. Aveva
18 anni,era un ragazzo come tanti con la passione per la musica e il
karate. E' l'alba del 25 settembre del 2005 a Ferrara e dopo una serata
passata con dei conoscenti,una
pasticca gli è fatale.Non sappiamo molto
di più.Fatto sta che Federico,di ritorno a casa,barcolla e lungo la strada percorsa a piedi si
imbatte in una volante composta da quattro agenti che lo bloccano.Non ha
con sè i documenti e le sue precarie condizioni psico fisiche,di certo, non lo aiutano. A questo
punto,la situazione degenera : calci,pugni e percosse con i manganelli gli procurano un trauma cranico e
fratture di ogni tipo.Federico ormai
sfigurato e ammanettato viene lasciato senza alcun soccorso a pancia in giù
mentre il suo cellulare squilla ripetutamente. E' la madre che, in stato di ansia e in preda ai più atroci
pensieri, lo sta cercando.Poi,finalmente,una voce risponde.E' quella di un poliziotto che con fare
imperioso e sbrigativo informa la madre
del rinvenimento del cellulare su
una panchina e del fatto che sono
in corso tutti gli accertamenti del caso.Di Federico e della sua agonia non riferisce alcun dettaglio.Solo
alle 11 del mattino la polizia avvisa i genitori del decesso del ragazzo, e solo dopo la rimozione del cadavere." Era meglio non vederlo in quello
stato, signora". E ancora :" Tutto questo è successo perchè suo figlio era un
tossico.Genitori sfortunati !", si giustifica un poliziotto. Il seguito
di questa storia agghiacciante è un susseguirsi di manipolazioni della
verità e di inquinamento di prove come,ad
esempio,quando la polizia riferisce
di essere accorsa sul luogo grazie ad una segnalazione di un abitante della
zona turbato dagli schiamazzi di un ragazzo che ripetutamente batteva la
testa contro il muro, in preda ad un
distruttivo autolesionismo.Peccato che le intercettazioni telefoniche
ascoltate nel corso del dibattimento siano di diverso tenore e che i
riscontri dei medici del Pronto Intervento siano incontrovertibili : basti
pensare che la furia della violenza è stata tale da determinare la rottura
dei manganelli adoperati.
Alcune riflessioni si
imporngono. In Italia,la tortura non è reato e la conseguenza è
l'impunità per i torturatori.
Il nostro
paese si è dimostrato,anche in questo
caso,il fanalino di coda in tema di
tutela dei diritti umani : per ben 25 anni siamo inadempienti rispetto a
quanto è stato richiesto dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la
tortura, convenzione che il nostro
paese ha,peraltro,ratificato. L'impegno assunto consisteva nella previsione del
crimine della tortura all'interno del nostro sistema giuridico. Ad
oggi,infatti,il nostro ordinamento non ha inquadrato la
tortura come fattispecie di reato e quindi casi di ordinaria violenza come
quello di Federico non potranno che moltiplicarsi, anche perchè è fin troppo chiaro che il
tema non riscuota sufficiente interesse da parte di quasi tutta la classe
politica. Nè mi pare di
avere percepito,fino ad ora,un
seppur flebile segnale di indignazione da parte dell'opinione
pubblica edei media in genere. Solo i giornali hanno riportato la
notizia,per dovere di cronaca ma senza accenni di condanna.Questa indifferenza che,forse
ancora più dell'odio,è il
peggiore crimine che si possa commettere nei confronti dei nostri
simili, sgomenta profondamente
perchè emblematica della desertificazione dei rapporti
umani, dello svuotamento di ideali
e del crescente disconoscimento dei
valori in cui versa la nostra
società.Con profonda amarezza
penso che non ci resti altro strumento a disposizione se non quello di
lottare individualmente
per continuare a
far sentire la nostra voce. Qualcuno, si spera, prima o poi ci
ascolterà.
Cleopatra, lunedì 02/07/2012
Questa è la canzone che Giorgio Canali ha dedicato al povero Federico.