venerdì 6 luglio 2012

UNA SENTENZA NON BASTA

Ieri, la Suprema Corte di Cassazione ha confermato le condanne per venticinque degli agenti di Polizia che, durante il G8 di Genova, trasformarono per una notte la scuola Diaz in una tonnara ribollente di manganelli e vili pestaggi. Finalmente, dopo undici interminabili anni, è stata fatta giustizia e i magistrati hanno in parte restituito al nostro paese quel senso di legalità che sembrava essersi perso per sempre. Alla Diaz, a Bolzaneto, in piazza Alimonda. Ma ci sono ferite che non possono essere rimarginate, traumi così invasivi e profondi per i quali non esiste cura. I ricordi non se ne vanno, così come il terrore e la paura. Nè tutte le lacrime versate, di dolore, di rabbia, solo ieri, finalmente, di gioia, sono state in grado di lavare quei pavimenti orribilmente macchiati del sangue di tanti innocenti. Perchè non erano i lividi, le fratture, le mutilazioni a farci male. Non le feroci torture di questi miserabili aguzzini in divisa. 






La violenza in sè, tutto sommato, può essere esorcizzata o dimenticata o nascosta in un remoto anfratto dell'anima, pigiata in fondo, sempre più giù, perchè non possa mai riemergere. C'è altro che ha inciso profondamente sulle nostre vite, ed è quello sgomento che nasce dal senso di impotenza innanzi alla tracotanza del potere, da un desiderio di giustizia frustrato dal comportamento omertoso delle forze dell'ordine e dall'incomprensibile afasia delle Istituzioni, dall'estenuante lentezza con cui solo ieri la magistratura è giunta ad applicare la legge in modo compiuto e definitivo. Tutto ciò putroppo non potrà essere cancellato da una sentenza che, per quanto ristabilisca un minimo sindacale di giustizia, lascia ancora inevasi molti interrogativi. Che sono poi quelli decisivi delle responsabilità politiche. In quei giorni, a Genova, tornammo a vivere sotto il fascismo, si spensero le luci della democrazia e precipitammo tutti, nessuno escluso, nel livido baratro della dittatura. I nomi dei mandanti di quello sconquasso istituzionale li conosciamo bene : Berlusconi, Scajola, Fini. Furono loro ad armare i manganelli alla Diaz e di questo devono rispondere, se non alla legge, quantomeno alla società civile e alla Storia. Fino a quando non succederà, fino a quando cioè le Istituzioni non prenderanno distanza da costoro che, ahimè, ancora le rappresentano, la nostra democrazia sarà condannata a vivere in un limbo di indeterminatezza e le nostre ferite a sanguinare. Perchè ciò si realizzi, una sentenza, purtroppo, non basta.


Blackswan, venerdì 06/07/2012

giovedì 5 luglio 2012

MICRODISNEY - THE CLOCK COMES DOWN THE STAIRS ( 1985 )




In un'ipotetica tenzone fra i gruppi più sconosciuti in terra italica, i Microdisney concorrerebbero senz'altro per aggiudicarsi le prime posizioni. Certo, qualche momento fugace di celebrità l'hanno avuta anche loro, a metà degli anni '80 ma comunque mai al di fuori dei confini del Regno Unito. Si trattò di ben poca cosa però, e non proporzionata agli effettivi meriti della band ( con il disco di cui si parla oggi conquistarono comunque il primo posto della classifica indie britannica ), che nonostante una discografia qualitativamente altalenante, quando giunse al top della forma, sfornò un pugno di canzoni pop connotate da una verve compositiva che suona ancora originalissima. Vale la pena, dunque, salvare dall'oblio questo "The Clock Comes Down The Stairs ", che forse non sarà un disco imprescindibile e seminale, ma che di sicuro racconta molto bene un periodo musicale in cui inizia a prendere forma il brit pop che poi, qualche anno più tardi, troverà la sua più alta espressione attraverso band come Blur, Oasis, Pulp, Suede e soprattutto nell'unico, e questo si irrinunciabile, omonimo disco dei La's. La storia dei Microdisney, che nascono come duo e diventano in poco tempo un quartetto,  sviluppa la sua trama su quel canovaccio di casualità e colpi di fortuna che ha accomunato tante giovani band in cerca di notorietà. Il cantante Cathal Coughlan e il chitarrista Sean O'Haglanquest'ultimo, in seguito, formerà gli High Llamas ) giungono a Londra dalla natia Irlanda ( Cork ). I due, che suonano in piccoli locali underground della città, vengono notati dal guru John Peel, che completa il combo con il bassista John Fell e il batterista Dave Galvin, e lo manda in sala di incisione a registrare le prime canzoni. Il suono un pò ruvido e grezzo degli esordi viene progressivamente ammorbidito, si fa più melodico e " charts oriented ", fino a confluire, in forma finalmente organica, in The Clock Comes Down The Stairs, che può definirsi, a buon ragione, il miglior lavoro dei Microdisney oltre che una piccola gemma dell' indie-pop ( il disco è pubblicato dalla mitica Rough Trade, casa discografica resa celebre per aver abbinato il proprio marchio ai lavori degli Smiths ). Le dieci canzoni in scaletta fondono  alla perfezione il suono brit della tradizione ( Beatles, Kinks ), le sensazioni musicali del momento ( Prefab Sprout e Smiths ) e soprattutto infuenze americane, con aperture melodiche che richiamano alla mente qualcosa dei Beach Boysmolto dei coloratissimi giri di chitarra che erano il marchio di fabbrica del suono Byrds. Il tutto incorniciato nelle liriche argute, raffinate e volutamente non sense  di Cathal Coughlan. Piacevolmente frizzanti e talvolta intrise di una malinconia dimessa e colloquiale, le canzoni di The Clock Comes Down The Stairs scivolano sul velluto di emozioni leggere, che non lasciano segni in profondità, ma solo un buon sapore fruttato sulle labbra. Dall'ironia iniziale di Horse Overboard al singolo giocoso Birthday Girl, dall'incedere incalzante di Genius fino all'intermezzo dai chiaro-scuri melodrammatici ma mai invasivi di Are You Happy ? che gioca a rimpiattino con la lingua smithsiana, il pop dei Microdisney segue il filo di un cromatismo assai eterogeneo ( eppure non confuso ), e fotografa una creatività compositiva che in seguito ( Crocked Miles e 39 Minutes ) non sarà mai più così sincera. The Clock Comes Down The Stairs non avrà di certo cambiato il corso della storia, ma di sicuro resta un gran bel disco ( votato nel 1989 dal quotidiano irlandeese The Sunday Tribune miglior album del decennio), grazie alla semplicità degli arrangiamenti e alla fascinosa freschezza delle composizioni. Dispiace, quindi, che di quest'opera non si ricordi quasi più nessuno e che i Microdisney siano solo il ricordo di una meteora nel bagaglio musicale di qualche incallito melomane, qual è il sottoscritto.







Blackswan, giovedì 05/07/2012

mercoledì 4 luglio 2012

IL PRINCIPE !


Poche volte mi è capitato di poter ascoltare la musica in un luogo appartato , dove veramente le note si sposano con la natura. Spesso tutto questo , tende a mgliorare qualsiasi prestazione, eccetto concerti indimenticabili che non possono essere serviti ad un pubblico ristretto. L'entroterra ligure si presta moltissimo a questo genere di manifestazioni, e mi stupisco sempre come non venga maggiormente sfruttato. Pazienza! C'è un paesino medievale , chiamato Dolceacqua (e già il nome dice tutto...) dove saltuariamente in estate si fanno concerti musicali di vario tipo. Mi offrii per una breve conversazione con Francesco De Gregori , che già avevo incontrato , ma non in prima persona. Mi piace molto la musica del principe e in quell'angolo particolare di natura , risultava ancora più suadente . Appena entrai nello spazio adibito   non per molte "anime", mi stupii come le prime file fossero occupate tutte da persone disabili, non perchè questi non abbiano diritto come gli altri a godere delle bellezze dell'arte anzi, ma era un quadro insolito, perchè al centro del tutto , era sistemato Bertinotti con consorte! Mah...strana locazione...Andai velocemente da De Gregori , che sapevo disprezzava nella maniera più evidente tutte le forme di interviste, anche se devo dire che lo trovai abbastanza migliorato.


E' un ariete come me , e invecchiando checche' se ne dica , gli arieti migliorano ( il carattere s'intende).. a differenza del luogo comune che il trascorrere degli anni , peggiora tutto! Non mi accolse a braccia aperte , questo è certo, la ruvidezza dei modi resta , ma sapevo con chi giocare e mi adattai con estrema facilità. Poche domande, niente vita familiare, le sue " creature " piacciono o meno", chi vuole lo sente , gli altri cambino registro, la sua poca partecipazione al colloquio è dovuta al carattere , che come le sue canzoni, o piace o si sa cosa fare... Più chiari di così!!! Uscii sorridendo, felice di vederlo così schietto e diretto come sempre e mi avvicinai al posto assegnatomi. Scherzi del destino. Incontrai un'amica che da secoli non avevo più visto e la cosa mi rallegrò ancora di più, perchè senza dubbio non rientrava molto nella norma dei soggetti. Dopo i primi scambi di solite parole , con attenzione sentimmo il concerto del Principe. La cosa che ci faceva specie, era l'assoluita immobilità delle persone. Non un applauso anche in sordina, non un moto di allegria o compiacimento, non un gridolino soddisfatto, niente di niente. Alle note di alcune canzoni di " Titanic" ( a mio avviso uno degli album migliori) , incominciammo ad agitarci e preso coraggio, ci alzammo e accennammo qualche passo di danza , considerando la scarsa disponibilità a muoverci, convinte che qualcuno ci avrebbe seguito. Il risultato fu negativo, anzi ci guardavano tra la curiosità e la critica feroce, ma questo è nulla. Pochi giorni dopo, leggendo , e lo ricordo perfettamente "La Stampa", vidi un articolo fatto proprio su questo avvenimento, dove inoltre era spiegato che nel bel mezzo del concerto , due "ragazze scatenate , sensualmente" ballavano al ritmo di Francesco, prese senza dubbio dall'ebbrezza del vino Rossese. Risi di gusto. Prima di tutto per le "ragazze", e la giornalista doveva avere la vista molto corta. Seconda cosa per il ballo scatenato e sensuale che avevamo fornito , ignorando forse che lo scatenamento mal si addice alla sensualità. Terza cosa , l'ubriacatura con il Rossese, che , magari avessimo potuto gustare , ma dato il costo , propio c'eravamo accontentate di una semplice birretta. Telefonai alla " Stampa" per parlare con la gentil donzella , ma risultava a tutti fuori sede. Peccato, l'avrei anche ringraziata..Nel buio della notte , eravamo diventate più note del nostro caro Francesco De Gregori......Potenza dell'immaginazione! 


NELLA, mercoledì 04/07/2012

martedì 3 luglio 2012

UNA VITA FRA I PESCI SILURO


Salva qualche significativa eccezione, quasi tutti, chi più chi meno, combattiamo la nostra battaglia quotidiana con la vita. La sveglia che ci desta a ore antelucane, magari dopo una notte praticamente insonne per colpa di caldo e zanzare ; il traffico che ci attende inesorabile appena usciamo dal cancello di casa ; i mezzi pubblici stracolmi, privi di aria condizionata e aromatizzati alla fragranza "eau de vott ur de lavurà"; l'intera giornata  passata a fare un lavoro di merda, alle dipendenze di un capo a cui, nella vita reale ( quella cioè lontana dalla logica ricattatoria : " ti do lo stipendio e quindi obbedisci " ), non ti fideresti nemmeno a fargli lavare la macchina o tagliare l'erba del prato, a contatto con colleghi petulanti e meschini, a smazzare grane e pelare gatte di cui non ti fotte un'emerita ceppa. E poi, bollette da pagare, adempimenti e scadenze da tenere sotto controllo, i conti che non tornano mai, le rinuncie, la cinghia stretta fino all'ultimo buco, un mutuo da accendere ogni volta che decidi di fare il pieno alla macchina ( io però continuo a fare come ai tempi dell'università: massimo un deca e vediamo dove si arriva ), la speranza che non ti venga il mal della pecola e quindi non si debba spendere in dottori e medicine, i vicini che cacano il cazzo se alzi troppo lo stereo e poi magari si mettono a trapanare alle sette di mattina della domenica, appena poco prima che citofonino i testimoni di Geova. Tutti i giorni così, uno dopo l'altro. E ogni giorno hai l'impressione di correre una maratona a piedi nudi, di partecipare ai mondiali di decathlon con una zavorra da dieci chili che ti grava sulla schiena. Ci vuole un fisico bestiale e, soprattutto, un livello di tolleranza alle frustrazioni altissimo, roba che la serafica atarassia di Gandhi al confronto appare come lo sbraitare di uno schizofrenico affetto da sindrome bipolare. Ingoi, fai finta di nulla e dentro te trovi risorse che nemmeno sapevi esistessero. Ogni tanto ti viene da lamentarti, e finisci anche per sentirti in colpa, perchè in cuor tuo sai di essere un fottutissimo privilegiato, dal momento che hai una casa, un lavoro e, a parte qualche sporadico acciacco, tutto sommato godi di ottima salute. Eppure sei un vulcano silente, dentro te ribolle un magma incandescente pronto a eruttare non appena i livelli di guardia si abbassano un poco. 
E prima o poi succede che il livello si abbassi, magari per una banalità e solitamente quando ti trovi davanti il classico deficiente. Il deficiente è come il pesce siluro: non sai come abbia fatto ad arrivarti fra i coglioni, eppure infesta il tuo ecosistema e si riproduce alla velocità della luce. E' un predatore di tranquillità, spesso assume colorazioni tendenti al marrone ( come dubitarne ? ), ha gli occhi piccoli perchè non vede al di là del proprio naso e ha una bocca enorme, dalla quale fuoriescono cazzate sesquipedali. Sei nervoso, stanco, stressato, non ne puoi più ? Ecco che spunta il deficiente. Pretestuoso, ignorante, capzioso, polemico, arrogante se esercita un potere, ma servile e prono con i più forti, solitamente il deficiente decide di romperti i coglioni per un'inezia, una quisquillia, un ammenicolo o una pertinenza. Insomma, un quid sul quale chiunque sorvola, ma non lui. Perchè è incapace di pensare che una cosa possa essere fatta anche in modo diverso, perchè ritiene che la fiscalità sia un merito e lo zelo una virtù. Lo guardi con aria interrogativa, cerchi di rivolgerti a lui in modo distaccato, ti spieghi educatamente un paio di volte, ma poi non ce la fai più e l'embolo parte. Inesorabile. Un fiotto di rosso acceso che ti oscura la vista, ti annebbia il cervello e ti tende i muscoli delle braccia. E allora, succedono cose così.

Blackswan, martedì 03/07/2012

lunedì 2 luglio 2012

(IN)GIUSTIZIA

Ricevo dalla nostra freelance Cleopatra e integralmente pubblico.

Patrizia Moretti merita la solidarietà e il rispetto di noi tutti.E' la madre di Federico Aldrovandi, il diciottenne morto sette anni fa dopo un pestaggio ad opera di quattro agenti di polizia ( con licenza di uccidere, aggiungerei ) che ovviamente nulla hanno a che fare coi tanti onesti servitori dello Stato che ogni giorno sono in trincea a rischiare la propria vita per la nostra sicurezza.
"Quattro schegge impazzite in preda a un delirio " li ha correttamente apostrofati il Procuratore Generale nel processo appena conclusosi in Corte di Cassazione, con la conferma della condanna definitiva a 3 anni e 6 mesi per
omicidio colposo. E qui casca l'asino, perchè la pena è in larga misura coperta da indulto e i quattro poliziotti, uno dei quali è una donna, sono attualmente in servizio.
Abbiamo scherzato,verrebbe da dire.
Proprio in questo momento si inserisce l'episodio che vale la pena di
raccontare.
La madre del ragazzo commentando la sentenza, ha comprensibilmente auspicato l'adozione di provvedimenti alternativi nei confronti dei quattro energumeni, mentre il Ministro dell'Interno, Annamaria Cancellieri, usando formule e locuzioni dubitative, ha differito ogni decisione a dopo la pubblicazione della sentenza.
Cosicchè uno dei quattro giustizieri, tale Paolo Forlani, ha pensato di affidare le proprie esternazioni a Facebook, etichettando la madre del ragazzo come "falsa e ipocrita", augurandosi che la stessa non possa "godersi" i soldi del
risarcimento ricevuto dallo stato italiano.
 
L'agente ha inoltre rincarato la dose, facendo riferirimento al " manuale del bravo genitore" , e precisando che " se  Patrizia Moretti avesse saputo fare la madre non avrebbe allevato un cucciolo di maiale ". La prevedibile conseguenza è stata una querela sporta dalla famiglia Aldrovandi, a cui sono seguite le scuse di un pentito Forlani che, con il capo cosparso di cenere, ne ha invocato il perdono, descrivendosi "sotto pressione" da
sette anni. Sette anni di pressione ? E che dire dei sette anni di dolore e di disperazione di una madre che sopravvive ad un figlio? Questo non è altro che l'ennesimo esempio di ordinaria ingiustizia che, purtroppo, ne evoca altri : Stefano Cucchi, Giuseppe Uva, Michele Ferrulli, la scuola Diaz nel 2001, tanto per citare i più noti.
Vite spezzate, vuoti a perdere accomunati da uno scarsa reazione di indignazione da parte dei media e, in primis, della politica ( basti ricordare per il caso Cucchi la dichiarazione delirante e piena di disprezzo dell'allora Ministro
Giovanardi : " Cucchi? Era un drogato e un anoressico " ).
Ma chi era Federico? Certamente non uno sbandato senza famiglia nè tantomeno uno scappato di casa. Aveva 18 anni,era un ragazzo come tanti con la passione per la musica e il karate. E' l'alba del 25 settembre del 2005 a Ferrara e dopo una serata passata con dei conoscenti, una pasticca gli è fatale. Non sappiamo molto di più. Fatto sta che Federico, di ritorno a casa, barcolla e lungo la strada percorsa a piedi si imbatte in una volante composta da quattro agenti che lo bloccano.Non ha con sè i documenti e le sue precarie condizioni psico fisiche, di certo,
non lo aiutano. A questo punto,la situazione degenera : calci, pugni e percosse con i manganelli gli procurano un trauma cranico e fratture di ogni tipo. Federico ormai sfigurato e ammanettato viene lasciato senza alcun soccorso a pancia in giù mentre il suo cellulare squilla ripetutamente. E' la madre che, in stato di ansia e in preda ai più atroci pensieri, lo sta cercando. Poi, finalmente, una voce risponde. E' quella di un poliziotto che con fare imperioso e sbrigativo informa la madre del rinvenimento del cellulare su una panchina e del fatto che sono in corso tutti gli accertamenti del caso. Di Federico e della sua agonia non riferisce alcun dettaglio.Solo alle 11 del mattino la polizia avvisa i genitori del decesso del ragazzo, e solo dopo la rimozione del cadavere. " Era meglio non vederlo in quello stato, signora". E ancora :" Tutto questo è successo perchè suo figlio era un tossico.Genitori sfortunati !", si giustifica un poliziotto. Il seguito di questa storia agghiacciante è un susseguirsi di manipolazioni della verità e di inquinamento di prove come, ad esempio, quando la polizia riferisce di essere accorsa sul luogo grazie ad una segnalazione di un abitante della zona turbato dagli schiamazzi di un ragazzo che ripetutamente batteva la
testa contro il muro, in preda ad un distruttivo autolesionismo.Peccato che le intercettazioni telefoniche ascoltate nel corso del dibattimento siano di diverso tenore e che i riscontri dei medici del Pronto Intervento siano incontrovertibili : basti pensare che la furia della violenza è stata tale da determinare la rottura dei manganelli adoperati.
Alcune riflessioni si imporngono. In Italia,la tortura non è reato e la conseguenza è l'impunità per i torturatori.
 
Il nostro paese si è dimostrato, anche in questo caso, il fanalino di coda in tema di tutela dei diritti umani : per ben 25 anni siamo inadempienti rispetto a quanto è stato richiesto dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, convenzione che il nostro paese ha, peraltro,ratificato. L'impegno assunto consisteva nella previsione del crimine della tortura all'interno del nostro sistema giuridico. Ad oggi, infatti, il nostro ordinamento non ha inquadrato la tortura come fattispecie di reato e quindi casi di ordinaria violenza come quello di Federico non potranno che moltiplicarsi, anche perchè è fin troppo chiaro che il tema non riscuota sufficiente interesse da parte di quasi tutta la classe politica.  mi pare di avere percepito, fino ad ora,  un seppur flebile segnale di indignazione
da parte dell'opinione pubblica e dei media in genere. Solo i giornali hanno riportato la notizia, per dovere di cronaca ma senza accenni di condanna.Questa indifferenza che, forse ancora più dell'odio, è il peggiore crimine che si possa commettere nei confronti dei nostri simili, sgomenta profondamente perchè emblematica della desertificazione dei rapporti umani, dello svuotamento di ideali e  del crescente disconoscimento dei
valori in cui versa la nostra società.Con profonda amarezza penso che non ci resti altro strumento a disposizione se
non quello di lottare individualmente per continuare a far sentire la nostra voce.
Qualcuno, si spera, prima o poi ci ascolterà.

Cleopatra, lunedì 02/07/2012   


Questa è la canzone che Giorgio Canali ha dedicato al povero Federico.