lunedì 4 luglio 2016

IL MEGLIO DEL PEGGIO





Riceviamo dalla nostra freelance Cleopatra e integralmente pubblichiamo 

Per Massimo D'Alema non c'è stato bisogno di votare Lucifero. Il nostro spocchioso Premier ha fatto tutto da solo. Animato dalla convinzione di essere infallibile e senza rivali, "passodopopasso" i nodi sembrano essere arrivati al pettine e l'aurea di invincibile pare proprio essersi dissolta. Dopo gli sfracelli alle europee in cui più che altro trionfò l'astensionismo, il recente test elettorale si è rivelato la cartina di tornasole del sorpasso del Movimento 5 Stelle sul partito di Renzi. L'inizio di un lento e progressivo declino dell'arrivismo renziano pare delinearsi in modo pressocchè netto. Da nord a sud, per il riformatore Matteo pare essersi interrotta quella corrispondenza di amorosi sensi con l'elettorato. Del resto, il progressivo radicamento dei pentastellati su scala nazionale dimostra quanto il Pd abbia perso terreno nel consenso popolare, soprattutto tra coloro che vivono nelle periferie. Fin qui tutto normale: in un paese democratico c'è chi vince e chi perde. In Italia, dove tutto è possibile, se un partito di maggioranza perde le elezioni, anzichè riflettere seriamente sulle cause della sconfitta e rimettersi in discussione, pensa a mettere le mani sulla legge elettorale cambiando le regole in corsa, come se nulla fosse. Matteo che ora si trova in trincea con una pistola ad acqua, incalzato dalla minoranza dem, potrebbe anche lasciarsi sedurre dal pensiero stupendo di manomettere l'Italicum ma sa bene che sarebbe un suicidio politico. La Brexit, il ruolo dell'Italia nella nuova mappa europea e un clima post elettorale incandescente tolgono il sonno al nostro Premier: tutti paiono ringalluzziti dopo le elezioni amministrative. Da destra a sinistra si avverte una frenesia incontenibile: i sopravvissuti di Forza Italia, orfani del convalescente Silvio, propongono un Nazareno 2, i "giamburrasca" della minoranza dem discutono sulle possibili dimissioni di Renzi dalla segreteria del partito e gli alleati scomodi, come Angelino Alfano, agitano lo spettro della crisi di governo se non si modifica l'Italicum. " Non si tratta di fare la crisi domattina, ma se l'Italicum non cambia, il nostro impegno si può considerare concluso con il referendum" , sentenzia il leader di Ncd supportato da personaggi illustri della caratura di Roberto Formigoni. La lotta all'evasione, la corruzione, la disuguaglianza sociale ( e potrei andare avanti ) sono solo un'appendice. Per chi non l'avesse capito, c'è in gioco la sopravvivenza politica dei parassiti. E pure di Renzi.

Cleopatra, lunedì 04/07/2016

domenica 3 luglio 2016

CON BRIO – PARADISE



Con Brio e Paradise sono parole che accostate in un’unica frase producono sensazioni piacevolissime, le stesse che si provano ascoltando l’album di debutto di questa band proveniente da San Francisco e capitanata dall’istrionico Ziek McCarter. I Con Brio si sono fondati nel 2013, e prima di questo full lenght avevano pubblicato un solo Ep, Kiss The Sun, che fin da subito però ebbe a suscitare l’interesse del pubblico e della stampa specializzata. Così, in poco tempo, ecco l'esordio a tutto tondo. Il titolo di questa nuova prova è frutto dell’immaginazione di McCarter, il cui padre, veterano di guerra ucciso dalla polizia texana nel 2011, gli sarebbe comparso in sogno, pronunciando la seguente frase: “ Come with me to paradise”. Sia quel che sia, di certo la band (un settetto, per la precisione) è riuscita ad innalzarsi a un livello di ispirazione altissimo, pubblicando uno dei dischi più interessanti ascoltati quest’anno. Paradise è una sorta di frullatore in cui vengono miscelati diversi elementi di musica nera (r’n’b, funky, dance, jazz, soul, hip hop), assemblati con intelligenza e originalità. Groove travolgenti, una sezione fiati scintillante e la voce duttile e limpida di McCarter, il cui timbro ricorda in alcuni momenti quello di Michael Jackson, sono gli ingredienti principali di un disco che viaggia veloce sui binari dell’imprevedibilità. Prodotto da Mario Caldato jr. (Beastie Boys, Beck), Paradise si sarebbe potuto intitolare anche “fantasia al potere”. L’inizio (la title track), ad esempio, è uno specchietto per le allodole che crea un’imboscata all’ascoltatore: una graffiante chitarra dal sapore hendrixiano ci fa subito pensare a una scaletta rock blues. 




Ma è solo un inganno, perché poi il suono si sposta subito in altri territori. La successiva Eagle Eye, infatti, ha un tiro pazzesco, è funk, è dance, ed è anche pop, nel ritornello straordinariamente catchy. Liftoff è un’altra scossa di adrenalina, groove funky e ritmica hip hop, i fiati che imperversano, la voglia di ballare che cresce a dismisura. E quando ci siamo assestati su un target, ecco che You Think This Is A Game, ci spiazza consegnandoci ad un intermezzo jazzy che sfocia in un finale cacofonico. Si riprende la corsa con Free And Brave, primo singolo, che ci travolge con il più classico dei r’n’b (con deriva dance incorporata) e ci riporta agli anni d’oro della Stax. E poi ancora tante canzoni all’insegna di un’esuberante creatività: gli accenti rock di Hard Times, con la voce in falsetto di McCarter e il pensiero che va al miglior Lenny Kravitz, l’irresistibile mid tempo soul di My Love (Stevie Wonder approverebbe), il call and response gospel di Money, che assume presto sembianze funky. Tutto funziona alla perfezione in Paradise, il suono, le canzoni, la band: un disco ad alto contenuto energizzante, divertentissimo e suonato…Con Brio (finale di recensione scontato, ma il gioco di parole era servito su un piatto d’argento). Consigliatissimo.

VOTO: 8





Blackswan, 03/07/2016

sabato 2 luglio 2016

DAVANTI AI CANCELLI DEL CIELO


DEERHOOF – THE MAGIC (Kythibong/Clapping Music/Goodfella, 2016)



Ci si avvicina sempre con emozioni contrastanti ai dischi dei Deerhoof: stravaganza compositiva, sperimentalismi, azzardi di ogni tipo, volontà ostentata di stare fuori dagli schemi, nessun vincolo sul genere da proporre. Ogni volta è così, in quasi 20 anni di attività e innumerevoli album all’attivo, un misto di eccitazione e piccole ansie per una band irregolare e impegnativa da affrontare, altissimi i rischi di stordimento e bulimia sensoriale. Un po’ come quando si partecipa a quelle cene con mille portate diverse che suggeriscono l’idea di abbondanza e varietà eccessiva al solo arrivo degli antipasti. Si va via sfamati e sfiniti in percentuali uguali.
Diciamolo subito, basta un solo ascolto di questo nuovo album per fugare tutti i dubbi: il banchetto che i Deerhoof hanno approntato per noi a questo giro è ricco (irriducibili, non diventeranno mai dei minimalisti) senza però stancare. Tutt’altro! Se nel passato avete divorato l’Indie Rock di Pavement e Thinking Fellers Union Local 282, e più recentemente apprezzato l’Art Rock di band come Psapp e Tune-Yards in The Magic c’è di che divertirsi e parecchio. Una delle caratteristiche più importanti è il sostanziale ritorno alle sonorità Lo-fi che avevano contraddistinto la band di San Francisco ad inizio carriera, da considerarsi non come un passo indietro, bensì, il riappropriarsi delle prerogative più funzionali al loro progetto di Rock a 360° che nonostante le più inverosimili derive fa dell’immediatezza il suo fulcro. Cosa che può solo far piacere considerate le ultime prove un po’ troppo “prodotte” ed edulcorate. Entrando nello specifico l’album è un contenitore di sorprese declinate nelle maniere più diverse. Piazzano subito il capolavoro, The Devil and his Anarchic Surrealist Retinue, quintessenza della schizofrenia Deerhoof.





Il pezzo parte fortissimo, col piglio chitarristico e sferragliante delle migliori band Garage Punk, per poi mutare pelle con svagatezze Pop sinuose e orientaleggianti. Kafe Mania! è un divertito e delirante inno Hard Rock alla voglia di caffè e all’abitudine tutta italiana di servirlo in cento modi diversi: "Cappuccino! Macchiato! Affogato! Corretto!" reclama urlando dal microfono la cantante Satomi Matsuzaki con il suo irresistibile accento nippo americano, uno dei pezzi dell’anno per le compilation categoria bizarre. That Ain't No Life To Me, Dispossessor e Plastic Thrills sono Punk song tiratissime e ubriacanti da ricercare nel solco tracciato dai Pixies. Life is Suffering è una di quelle canzoni grazie alle quali è facilissimo invaghirsi del gruppo californiano. La carica di inquietudine esistenziale suggerita dal titolo viene disinnescata dall’interpretazione che assume forme più che gioiose e, nel finale quasi sarcastico, tutta la voglia di non prendersi mai troppo sul serio. Criminals of the Dream è un altro stuzzicante pasticcio musicale dove stavolta fanno convivere allegramente Synth-Pop e Noise Rock, un possibile tributo ai disciolti e altrettanto “irregolari” Fiery Fournaces. E c’è dell’altro in questo folle e visionario puzzle dei mutaforma Deerhoof: l’omaggio a James Brown di Model Behavior,  I Don't Want to Set the World on Fire, ballata stramba e scheletrica che non lascia indifferenti, l’anarchia poliritmica e funkeggiante alla Talking Heads di Debut e della conclusiva Nurse Me.
Anche la genesi produttiva è quanto meno singolare: i 15 brani sono stati messi a punto in soli sette giorni di registrazioni nei locali dismessi di un vecchio ufficio nel bel mezzo del deserto del New Mexico. Pochissimi i comfort tecnologici, evidente l’intenzione di rimettersi in gioco con in mano le uniche armi della creatività e della libertà espressiva. Quasi un nuovo debutto quindi per Satomi Matsuzaki (voce e basso), Ed Rodriguez e John Dieterich (per entrambi chitarre e tanto altro) e il batterista Greg Saunier, che sollecitato a questo proposito ha dichiarato: "Abbiamo fatto quello che ci piaceva quando eravamo bambini, quando la musica era magia, prima ancora di sapere che ci fossero delle regole imposte dell'industria discografica. A volte l’Hair Metal è la scelta giusta."
Se dovessimo ipotizzare in quali direzioni stiano andando i Deerhoof nel futuro prossimo, pochissimi i dubbi: tutte e di più.

Voto: 8





Porter Stout, sabato 02/07/2016

venerdì 1 luglio 2016

NEKO CASE, k.d.lang, LAURA VEIRS - CASE/LANG/ VEIRS



Tre donne, tre storie, tre diverse concezioni di musica. Verrebbe la voglia di parlare di supergruppo, visto quali sono i nomi in gioco, ma questo sostantivo è forse troppo enfatico e poi porta sempre con sè un certo retrogusto da recupero archeologico. Nel caso specifico, invece, l'understatement è d'obbligo, perchè tutto è nato spontaneamente, lontano dalle logiche del mercato, con l'unica motivazione di divertirsi nel fare musica insieme. Loro si sono conosciute in sala di registrazione, quando k.d. lang e Neko Case hanno prestato le loro voci in alcuni brani di Warp And Weft (2013), ultimo disco in studio di Laura Veirs. E' così nata subito un intesa e una reciproca simpatia, che ha portato in poco tempo a ipotizzare una collaborazione a tre, che oggi ha prodotto questo primo full lenght (se unico ed estemporaneo lo sapremo solo col tempo). Prodotte da Tucker Martine (marito della Veirs e storico sodale dei Decemberists), le tre ragazze sono riuscite nel compito, a dir la verità non proprio semplice, di creare un disco coeso. La bontà dell'operazione, infatti, sta proprio nel basso profilo con cui le tre hanno abbandonato le rispettive carriere e si sono messe, con umiltà, al servizio del bene comune. Potevano ritrovarsi, strimpellare un pò e dividersi il proscenio, tanto avrebbero venduto comunque, anche assemblando canzoni di diversa natura, pescate dal retrobottega della propria produzione. Invece, Case/Lang/ Veirs è un disco omogeneo e coerente, che riesce magicamente a fondere le tre diverse nature in una visione unica. Le quattordici canzoni in scaletta hanno un'impronta indie ed esprimono un folk rock trasognato ed elegante, in cui spesso confluiscono elementi pop, e talvolta un pizzico di elettronica e di reminiscenze west coast. Forse non tutte le canzoni sono riuscite come si sperava, ma quando le tre songwriter colpiscono il bersaglio, lasciano il segno grazie a melodie garbate e di presa immediata (Atomic Number, Supermoon, Best Kept Secret, Why Do We Flight). Un disco ben fatto e ben suonato, equilibrato nell'interplay delle tre voci e con un suono che si discosta dalle tre fonti che lo hanno originato. Da provare.

VOTO: 7





Blackswan, venerdì 01/07/2016