venerdì 22 giugno 2012

SIMPLY THE BEST


Mai titolo mi è sembrato più adatto per distinguire una grande donna del rock , un'icona vivente che ancora fa palpitare i  nostri cuori e scalciare le nostre gambe. Tina Turner! Per quanto mi riguarda è sempre stata il simbolo del coraggio, della caparbietà, del talento e della generosità.Non ricordiamo i tristi esordi con il marito Ike, che la prostituiva pur di trovarne un profitto. Ma se tutto non bastava e qualche mossa non era quella giusta nello spettacolo, non mancavano le botte , ma quelle vere forti , potenti che lasciano un segno doppio, lei che si prendeva cura anche dei figli di questo bell'imbusto.Lavorava come madre, come moglie, come artista senza avere soste o soddisfazioni. Bisognava raccogliere il coraggio per  sopravvivere, era necessario per lei e per i figli, e questo coraggio lo prese a quattro mani fuggendo da tutto e tutti con i ragazzi, aiutata da quegli stessi artisti che l'avevano sempre ammirata e che la volevano proteggere da un destino che poteva anche essele fatale. Questa donna che riprese in mano in modo trionfale la sua carriera,che era di nuovo considerata un oggetto di desiderio, ma con un'anima ben definita. Tutte le porte le si spalancarono , i grandi concerti, le partecipazioni a celebri film, i grammy piovuti dal cielo... tutto e di più . Perfino l'amore , quello vero con un uomo più giovane di 22 anni ,  Erwin Bach  tedesco di Colonia, con lei dal 1986. 

Questa leonessa di fuoco, non si è mai arresa davanti a nulla, solo ora gode il suo meritato riposo( ma non sempre!) tra la Francia, la Germania e la Svizzera.Ebbi la fortuna di incontrarla quasi a fine carriera , se mai fine c'è stata, io ho molti dubbi a tal proposito. Non sarà certo il fuoco pieno di passione che ci avvolgeva nei suoi concerti, ma ritirata per sempre ,non penso.Il dono di qualche sua apparizione , spero ce lo dia ancora. La ricordo ad Albenga , in un mesto spettacolo fatto dentro uno squallido campo sportivo( e lasciatemelo dire...), lei che aveva calcato i palchi di tutto il mondo come il fantastico superconcerto di Rio de Janeiro. Ma mi mandarono lì e ne fui felice, egoisticamente più per me che per lei, anche se il luogo non era da regina.Quando la vidi , mi stupii per la sua struttura fisica. L'immaginavo maestosa, alta , ridondante, e mi venne incontro una graziosa ,minuta persona, naturalmente con uno dei suoi soliti abiti sexy che slanciavano le sue gambe nervose  e la sua criniera fulva incorniciata da un viso allegro e ridente. Sprizzava ottimismo da tutti i pori , come si trovasse in un luogo fatato e conversò brevemente con me con un'affabilità e gentilezza che poche volte ho avuto modo di conoscere.Era un fiume in piena , non c'era bisogno di fare domande, tutto usciva fuori liscio e senza remore , senza pudore, con una naturalezza disarmante. Insomma, la più imbarazzata ero io, mentre mi passavano davanti come un film, i pugni di Ike, la generosità degli amici, gli intrecci libertini con esponenti importanti della musica mondiale( vedi David Bowie e Mick Jagger), contornati dalle mie stupide curiosità intime su questi duetti o trii che , per un certo periodo di tempo, l'avevano portata su molti giornali del gossip. Che figura... La sua risata era così cristallina e divertita , da farmi sentire proprio quella che ero. Una stupida ragazza provinciale con dei pruriti da scoprire, come se non ci fosse stato nulla di più interessante! La vidi sparire per guadagnare la scena a capo chino ancora sorridendo, certo le avevo fatto pena o simpatia. Lei mi perdonò e io e perdonai la mezz'ora di play-back sulle note di " Nut bush city limit"! Che favola!




NELLA, venerdì 22/06/2012

mercoledì 20 giugno 2012

BODY AND SOUL di Michael Radford

Quando alla fine del film, Eugenia, ex compagnia di Michel Petrucciani, afferma che " Michel aveva un talento immenso, eppure l'unica cosa che desiderava era camminare su una spiaggia mano nella mano con una ragazza", ho fatto istintivamente una riflessione. Ho pensato che io sarei pronto a cedere tutta la mia normalità fisica per possedere anche solo un decimo di quel talento. Ed è probabilmente questo il senso del bel film di Michael Radford, che parla di musica ma che racconta soprattutto una storia in cui tutto è relativo: la percezione del genio così come la percezione della disabilità, l'avvenenza fisica e l'aridità di spirito, la pienezza di una vita vissuta sempre al limite e il trascorrere del tempo, a cui spesso ci riferiamo in termini quantitativi senza tener conto della qualità del vissuto.
Michel Petrucciani nasce il 28 dicembre del 1962 a Orange, piccolo centro transalpino nei pressi di Avignone. Uso il termine nascere per convenzione, perchè a seguito del parto il piccolo Michel riporta la frattura di tutte le ossa dello scheletro e si salva per miracolo. Ha contratto un brutta malattia, una di quelle che per quanti progressi possa fare la medicina, non lascia scampo. La malattia si chiama  Osteogenesi Imperfetta, le ossa sono fragili come il cristallo, si sbriciolano al primo urto, al primo movimento inconsulto. Petrucciani non ha una vita normale, non può giocare, non può correre, non può stare in mezzo agli altri bambini. E non cresce in altezza, rimane piccolo, non supera il metro. Però ama la musica ed è talmente innamorato del jazz e del pianoforte che a sette anni già suona come un pianista professionista. Crede in un sogno, persevera. Quando compie quindici anni viene notato dal vibrafonista Kenny Clarke, con cui registra il suo primo album a Parigi. Poi, suona con Lee Konitze quindi si traferisce negli States, dove impara perfettamente la lingua in soli sei mesi e acquista progressivamente notorietà grazie anche a collaborazioni con musicisti del calibro di Dizzy Gillespie, Wayne Shorter, Jim Hall, Eddie Gomez e altri ancora.
Petrucciani in qualche anno si trasforma in una star di prima grandezza, registra parecchi dischi, suona al Blue Note, si consuma letteralmente in estenuanti tour. Ma soprattutto Michel vive, vive a cento all'ora, senza freni, senza limiti, senza mete.Passa da una donna all'altra, amandole tutte con passione vorace, ha due figli ( uno dei quali erediterà la sua malattia ), prova ogni tipo di droga, beve molto, frequenta cattive compagnie.E sorride, sorride alla vita, alla gioia dei piaceri fisici, si fa beffe del suo handicap, rischia ogni giorno come se fosse l'ultimo, ama camminare sull'orlo del precipizio, infischiandosene del baratro. Quando torna a New York, dopo una lunga permanenza in Francia, lo fa contro i consigli di medici e amici. E' provato, stanchissimo, e la Grande Mela lo attende, coi suoi colori rutilanti, ma anche con la neve e il gelo. Sarà proprio questo freddo a causargli la polmonite che, complicando il grave quadro clinico della sua patologia, gli sarà fatale.
Michel muore il 6 gennaio del 1999, all'età di 36 anni. 
Ora, Petrucciani, riposa a Parigi, in Pere Lachaise, e la sua tomba è posta a fianco di quella di Frederic ChopinNon è un caso. Come il grande musicista e compositore polacco, Michel aveva un immenso talento, era un pianista eccelso, che abbinava alla particolarissima tecnica ( il suo tocco era reso inimitabile dalla leggerezza della composizione ossea delle braccia ) una sensibilità musicale onnivora, che esplorava jazz, blues e classica ( l'ultima passione della sua vita ), con un respiro talvolta malinconico e più spesso incredibilmente brioso.
Michel si arrampica, letteralmente, sul pianoforte. E' goffo, fa fatica. Con quelle gambe rattrappite che ballano a mezz'aria e non toccano terra, sembra un bimbo piccolo alla guida di un bastimento .La scena è grottesca, suscita una pietosa e condiscendente ilarità. Almeno fino a quando non inizia la magia delle note, e il cuore di chi ascolta si ferma.Non esistono più limiti fisici, non esiste nessuna malformazione. Le grandi mani di Michel si muovono rapide sulla tastiera, le movenze sono muscolari, quasi possenti, mentre le scale si alzano leggiadre, salvifiche, verso il cielo.
Quando lo ascoltai suonare la prima volta pensai subito a due miti. All'immenso Art Tatum, di cui Petrucciani aveva ereditato il gusto per l'improvvisazione debordante, e soprattutto a Bill Evans, il più grande dei romantici. Con Evans, Petrucciani condivideva un approcio al jazz dal sapore nazional popolare, la medesima capacità di rendere semplicissime anche le cose più difficili, il dono superiore di essere comprensibile a tutti, di toccare il cuore della gente. Mi innamorai veramente del jazz quando mi innamorai di lui, di quella folle velocità con cui bruciava i propri giorni al pari dei tasti del pianoforte, di quei fraseggi che scorrevano furiosi come un fiume in piena, eppure al contempo leggerissimi. Ricordava Tatum, ricordava Evans, ma era soprattutto Petrucciani, la mano destra di Dio.
Ecco lì, Michel, piccolo grande uomo, abbarbicato sul pianoforte in un tutt'uno con lo strumento, risposta poetica del Creato al disegno beffardo della natura. Ossa di cristallo contro l'impietoso cinismo del mondo, piccolo Davide contro il Golia del morbo, poesia contro violenza, gioia contro dolore, vita che tracima attraverso gli angusti recinti di una morte annunciata. Musica, musica che si respira, musica che tiene vivi, musica che inebria di ossigeno.
C'è chi nella propria vita possiede tutto e non restituisce nulla. E chi invece mangia pane raffermo e versa lacrime e sangue, donando amore. C'è chi vive novant'anni e non lascia un segno.E chi invece in un solo istante rende onore agli uomini e all'arteMa il bene e il male si confondono: non c'è sventura che produca solo dolore, nè bellezza tanto perfetta da essere bastevole a se stessa. La vita è questa, è un'avventura in cui tutto è relativo. La disabilità, la normalità, la tragedia, la felicità. E il talento, per cui noi saremmo pronti a sacrificare tutto, mentre a Michel non bastava più. Lui voleva  soltanto camminare su una spiaggia, mano nella mano con una ragazza.
Blackswan, mercoledì 20/06/2012 

martedì 19 giugno 2012

COLD SPECKS - I PREDICT A GRACEFUL EXPULSION

Genere : ( Doom ? ) Soul, Gospel

E' probabile che nella vostra vita abbiate già sentito parlare di doom metal ( Black Sabbath docet ) ma forse questa è la prima volta che sentite parlare di doom soul, definizione con cui Al Spx, giovane singer canadese trapiantata a Londra, definisce la propria musica. La definizione, ad ascoltare il cd, non pare poi così peregrina. Perchè queste canzoni, che si aggirano dalle parti del profondo sud degli States, posseggono un'anima dolorosamente crepuscolare, si muovono lente, vischiose, fra accordi in minore, notturni gotici e metropolitani e malinconiche (de) cadenze. Come se Adele avesse smesso di giocare con le classifiche e di annacquare la sua musica col pop, guardandosi realmente nel cuore, o come una Tracy Chapman degli esordi, ma meno folk e arrabbiata, che avesse deciso di arrendersi al dolore. Coadiuvata dai Cold Specks, ensemble di musicisti di prim'ordine ( tra cui meritano una citazione Rob Ellis e Ben Christophers ) la giovane Spx seduce, e non poco, per la bella voce dal timbro clamorosamente soul ( eppure mai banalmente soul ) e dal sapore spesso aspro e un pò ruvido, e per un pugno di canzoni di tutto rispetto, alcune delle quali ci mettono un attimo a far soqquadro di un'anima sensibile. Hector, Holland, The Mark e la conclusiva Lay Me Down sono scatti in bianco e nero che fotografano struggimenti in solitaria dalle parti del Mississippi, dove tutto, anche l'acqua che scorre, ha il suono del soul e del gospel. Astenersi allegroni per indole : questo è un disco di grande introspezione.

VOTO : 7


Blackswan, martedì 19/06/2012

domenica 17 giugno 2012

BLOOD ON THE TAPE...

Mi offrirono con piacere il concerto dei Deep Purple, anche perchè la città che li ospitava era Genova , quindi..in parole povere , meno spese per tutti! Confesso che non li avevo seguiti moltissimo, anche se mi intrigavano parecchio come esponenti dell'hard rock, per la durata della loro carriera da definirli a buon diritto " I dinosauri del Rock", per le loro esibizioni sempre molto dignitose e per l'abitudine di essere i più grandi venditori di memorabilia della storia della musica! Ti possono vendere tutto ciò che desideri, con puntualità encomiabile ti inviano catologhi , prezzi, sconti, incontri e date , un'organizzazione faraonica. La cosa che mi intriga di più in questo tipo di concerti , sono le persone che lo vanno ad ascoltare, i loro travestimenti, i loro ricordi, i sosia dei loro preferiti.....insomma uno spettacolo nello spettacolo. Devo dire che il seguire un concerto al Palazzetto dello Sport di Genova , non è certo una delizia per le nostre orecchie, perchè se sei piazzato in un certo luogo, non ti arriva la voce, o perdi le parole, o qualche strumento scompare improvvisamente, ma avendo tutte le casse proprio davanti al naso , questo pericolo era difficile si corresse.Tutti i corrispondenti o simil tali erano ammassati in quest'angolo (non male per la verità) e io mi trovai vicino a un ragazzo che , a mio avviso e non mi sbagliavo, era la prima volta che assisteva ad una prova del genere. Mi ricordava un pochino  il commissario Zuzzurro , tutto impettito con il suo impermeabilino ( giuro che non pioveva....), i suoi fogli ben ordinati, gli occhialini da intellettualoide , fisso e concentrato della messa in opera del palco.Scambiammo pochissime parole, solo si lamentò del complesso supporter ai Deep che a suo avviso risultavano troppo rumorosi. Non voglio esagerare , ma questi poveri quattro ragazzi dovevano essere stati presi a caso in qualche festa paesana, perchè di rock non avevano nulla, ma tutto il loro repertorio era basato su canzoni italiane anni '60. Non proferii verbo , ma la cosa mi lasciò molto stupita, perchè capii che non sapeva proprio cosa fosse l'hard  o l'heavy metal. In effetti le casse erano talmente roboanti da non farmi capire se era il mio cuore che batteva all'unisono o se era la rifrazione del suono che vibrava nella mia cassa toracica. La vicinanza al tutto era minima, e per la prima volta benedii di non sentire più i suoni bassi da un orecchio, anche se serviva a poco.Sentii improvvisamente un sussurro soffiato e una vocina che mi avvertiva se avessi visto sangue dal naso o dalle orecchie , di avvisare un'ambulanza. Mi voltai di scatto e rividi 'sto poveraccio, fermo , pallido come un morto, una statua di cera, la testa china in avanti e le mani contratte nei fogli che teneva stretti. Vidi chiaramente un rivolo che usciva dal naso, un rivolo di sangue dico, e non è l'inizio di un giallo , ma di una tragedia. Scrutai le orecchie , mi sembravano scurite  e mi prese un terrore folle. Mollai tutto quello che avevo sulla poltroncina e mi infilai come una furia in un'uscita secondaria. Feci di corsa tutto il Palazzetto , tutti i tracks del concerto , non c'era o non riuscivo a vedere l'ombra bianca di un'autoambulanza. Aprii una piccola tenda scolorita, e ci mancava non finissi sul palco, dove un componente della troupe mi mise in mano un cartello gigantesco che ancor oggi troneggia davanti al mio PC ed è uguale alla foto che ho inserita , firmato dai Deep Purple in persona, mentre io mi sforzavo di fargli capire che cercavo un medico, un imfermiere , un qualcuno per fermare un'emorragia.Trovai tutto per fortuna, lo stesero su di un lettino, non so cosa fecero, so solo che mi sentii in dovere di aspettare mentre il concerto si dipanava in tutto il suo delirio di note. Quando si riprese , mi ringraziò intimidito e io ebbi la bella uscita  di augurarli un "arrivederci alla prossima volta". Si mantenne cortese , aggiunse solo " Con un altro tipo di band". Non lo rividi mai più!


NELLA, Domenica 17/06/2012

sabato 16 giugno 2012

ANATHEMA – WEATHER SYSTEMS



Genere : Prog Rock

La peculiarità del camaleonte è quella di mutare colore. Non per mimetizzarsi, come erroneamente si crede, ma per manifestare l’alterazione del proprio stato emozionale. Dev’essere successa una cosa simile anche agli  Anathema, formazione britannica capitanata dai fratelli Vincent e Daniel Cavanagh, che agli esordi picchiavano duro con un death doom metal dai riff pesi e il cantato growl. Poi, all’improvviso qualcosa cambia, e fulminati come San Paolo sulla via di Damasco, i nostri iniziano una progressiva radioheadizzazione, che li porta a elaborare un prog rock romantico dai connotati malinconicamente depressi. Ne viene fuori un filotto di dischi di pregevole fattura, anche se non memorabili, e un piccolo capolavoro per anime disperate dal titolo A Fine Day To Exit. Dopo un lungo periodo di silenzio, intervallato solo nel 2008 dal suggestivo Hindsight ( raccolta di singoli riproposti in versione acustica ), We’re Here Because We’re Here del 2010 aveva restituito ai fans un gruppo in ottima forma.Weather Systems altro non è se non il degno seguito di quell’album, in una veste, se possibile, ancora più elegante e sfarzosa, come se l’elaborato processo di trasformazione della band fosse finalmente arrivato a compimento. Ne è testimonianza un amalgama sonora perfettamente arrangiata, scintillante nell’interplay fra acustico e elettrico e avvolgente nell’incedere sinfonico delle composizioni, tutte  peraltro ( a eccezione forse della banale conclusione lasciata a Internal Landscapes ) di ottimo livello. Le armi per colpire al cuore l’ascoltatore sono quelle di sempre, ma paiono più affilate : i maestosi crescendo di rossiniana memoria, le ipnotiche spirali melodiche, il pathos malinconico iniettato in vena dalla splendida voce di Lee Douglas, entrata a far parte stabile della band dai tempi di A Natural Disaster. Le belle canzoni si sprecano, a cominciare da Untouchables, lunga suite iniziale suddivisa in due parti e per finire con The Beginnig And The End, struggente ballata pianistica che si accende lentamente di elettricità chitarristica, per ricordare che i tempi del rock che fu non sono poi così lontani.Una menzione a parte merita anche The Storm Before The Calm, deragliamento elettronico in odore di tregenda, che si candida a miglior brano di un album da heavy rotation compulsiva.

VOTO : 7



Blackswan, sabato 16/06/2012