venerdì 12 agosto 2011

RADIOHEAD - HAIL TO THE THIEF

Se ci sofferma su ciascuno dei dischi nati dal genio straripante di Thom Yorke e Co.è veramente difficile non ravvisare un'intuizione che abbia influenzato la musica che verrà in seguito.Nel 1995,"The Bends " raccoglieva l'eredità degli U2 e stupiva il mondo grazie ad un freschezza di linguaggio,formale ed emotivo,che non aveva eguali.Nel 1997,"Ok Computer " cambia radicalmente il corso degli eventi:si crea un nuovo suono,l'attitudine alla malinconia diviene progetto ed immediata realizzazione.Poi,altri due dischi (" Kid A" ed "Amnesiac" ),difficili da assimilare,straripanti di idee e di invenzioni,epidermicamente caotici eppure incredibilmente omogenei e simmetrici,in cui architetture elettroniche si mettono al servizio di un rock visionario che stravolge e rende futuribile la lezione filosofica dei Pink Floyd e la genialità cibernetica dei Kraftwerk.Yorke non si accontenta mai.Guarda al futuro,cerca,esplora.Ma è anche abile esegeta:prende i testi del passato ,li studia,li traduce rendendoli attuali.Questo fremente lavorio di studio,interpretazione e sperimentazione,che era stato il motore dei precedenti lavori",torna ad essere sublime creatività anche in "Hail to the Thief ",saluti al ladro Bush,che broglia le elezioni e ruba il futuro degli Stati uniti e del mondo.Passato e presente ,terra madre ed astri,viaggi spazio temporali e piedi saldamente piantati sulla terra.Così è la musica dei Radiohead:il crocevia in cui la dilacerante dicotomia fra il computer e l'uomo trova risoluzione nella ricerca di nuovi orizzonti,di un modo nuovo ed avvincente di creare,generare e pensare musica.L'iniziale sfuriata di " 2+2=5 " ne è l'immediato riscontro.Rock,ma modificato geneticamente,un incontro astrale tra meteore chitarristiche,rabbia punk ed elettronica aliena."Sit down,stand up "è un crescendo allucinatorio di loop ed incastri vocali,un sabba cyberpunk di inarrivabili malinconie in volo verso lo spazio,in un'epistassi emotiva ipnotica e malata di disperazione in formaldeide.E' sempre l'uomo al centro del linguaggio musicale di Yorke,un uomo che si mette a nudo negli struggimenti pinkfloydiani di "Sail to the moon",una "The great gig in the sky " scaraventata nell'algida solitudine del pianeta Marte,un palpito,un battitto di cuore al cospetto degli extraterrestri." When I end and You begin " costruisce questo progetto di viaggio emotivo nell'iperspazio su una ritmica così scomposta da ingenerare un attacco di panico.I riff brucianti di chitarra,i suoni da altro mondo e la voce di Yorke, febbricitante e dolente,scaraventano l'ascoltatore in una danza ipnotica e senza ritorno,come la caduta libera di un'astronauta nell'immensità dello spazio.Un volo nell'infinito,in cerca del sicuro schianto,che continua nel gospel venusiano di " We suck young blood ",quasi un tormento sussurrato alle orecchie di noi povere anime,troppo fragili,troppo finite,come se la musica ad un tratto si facesse crescente onda maligna per travolgerci e sommergerci.L'onda del nostro tramonto,del nostro abisso incombente,raccontata nel battito cupo e ferale della ritmica folgorante di " The gloaming",una sorta di Space Invaders impazzito e senza briglia,che incombe,orrorifico,strafatto di criptonite,come pioggia acida, sui nostri corpi nudi.Un futuro senza speranza quello paventato da " Hail to the Thief ",costruito su una rassegnata disperazione che trova il suo apice emotivo nell'elegiaca " I Will ",breve e tremante preghiera,lume di candela nella notte siderale,in cui l'urgenza espressiva torna a farsi minimale,tra morbidi accordi di chitarra ed un cantato sottilmente sdoppiato nelle tonalità,quasi a dimostrare che spesso la perfezione di una serie di note vive la sua epifania nella più disarmante semplicità.Eppure,il linguaggio di Yorke è spesso volutamente contraddittorio ed ondivago,e si fa forte di una febbrile creatività che ricerca suoni,immagini e sensazioni tanto nella tecnologia esasperata dalla macchina,quanto nel cuore pulsante delle emozioni più banalmente umane. Allora,la fantascientifica " Myxomatosis ",quasi diabolica nella sua simmetrica architettura di allucinazioni seriali,spariglia le carte del gioco nell'accostamento inaspettato con la querelle alcolica e tormentata di " Punch up at the wedding",sconclusionato e malinconico lamento di un innamorato al matrimonio dell'amata che lo ha lasciato.Ed ancor di più sconcerta lo sbilanciamento finale di " Scatterbrain " e del valzer appena intuito di " A wolf at the door ",nelle quali l'elettronica è dimenticata,totalmente sepolta,per dar spazio ad un dolore ricondotto nell'alveo di un suono "normale ",posto come contraltare acustico e terrestre al magma sonoro proveniente dalla galassia appena esplorata.Quasi una sorta di ritorno a casa,ad una dimensione finita e concreta,nella quale il focolare del proprio corpo e delle proprie emozioni è capace finalmente di consolare dalla paura dei lupi che ghermiscono il futuro.
Blackswan, sabato 30/04/2011

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