Genere:
Alternative Country
Periodo Di Attività : 1985 – Ancora In Attività
Per quanto il paragone posso
apparire forzato, si potrebbe parlare di Gary Louris e Mark Olson come dei Lennon
& McCartney della musica a stelle e strisce. Nella prima metà degli anni ’90,
per un paio di dischi almeno, i due sono infatti riusciti a rivitalizzare la
scena rock country americana grazie a ottime idee, splendide canzoni e un affiatamento
e un gusto per la melodia la cui fonte d’ispirazione traeva linfa vitale dai
dischi del quartetto di Liverpool. Un abbinamento quello fra roots e Beatles,
che ha retto molto bene per Hollywood Town Hall e Tomorrow The Green Grass, che
ha debordato, rendendo il suono troppo smaccatamente pop, in Sound of Lies e
Smile, e che è tornato a brillare, per gusto e intelligenza di soluzioni, nell’ultimo,
brillantissimo episodio della discografia Jayhawks, Mockingbird Time.
Il gruppo
viene formato nel 1985 a Minneapolis (Minnesota) da Mark Olson (chitarra e
voce), Norm Rogers (batteria) e Marc Perlman (prima chitarra e poi basso), a
cui si aggiunge in seguito Gary Louris (chitarra e voce) che entra subito in
sintonia con Olson, con cui condividerà in seguito la leadership. Il primo omonimo
disco (praticamente introvabile fino alla ristampa avvenuta nel 2010), prodotto
da una piccola casa discografia (The Jayhawks, 1986, Voto: 6), se da un lato
denota una creatività ancora acerba e ancora troppo legata alla
tradizione country, dall’altro evidenzia un intesa perfetta fra i due chitarristi,
bravissimi ad armonizzare i rispettivi timbri vocali che diventeranno ben
presto il segno distintivo delle loro canzoni. Nonostante il buon successo dell’album
a livello locale, nessuna major sembra
però interessata al sound della band. Nel frattempo, Norm Rogers se ne va (viene
rimpiazzato da Thad Spencer) e Gary Louris subisce un grave incidente stradale
che lo terrà fuori dai giochi per parecchio tempo. Le canzoni del successivo Blue
Earth, rilasciato dalla Twin Tone Records (1989, Voto: 7) sono quasi tutte a
firma del solo Olson, e il contributo di Louris si limita alla registrazione
delle parti vocali e di chitarra. Acustico e scarno negli arrangiamenti, Blue
Earth mette in bella evidenza quel tipico suono Jayhawks che dall’album
successivo prenderà forma compiuta: un country rock che parte dalla tradizione
ma è capace di impennate creative pop che rendono le canzoni agili, moderne,
deliziosamente melodiche. Tra le piccole gemme che impreziosiscono l’album vale
la pena ricordare Two Angels, che diventerà in seguito un classico della band,
e l’arpeggio paradisiaco di Commonplace Street, esempio mirabile di una moderna
rilettura del country-rock, che sfuma in un finale decisamente più rumoroso.
Notati dal geniale Rick Rubin, che li vuole fortemente con sé per la Def American,
i Jayhawks perdono l’ennesimo batterista (entra Ken Callahan al posto di Thad
Spencer) e firmano il loro disco più bello, Hollywood Town Hall (1992, Voto:
10) che insieme a No Depression degli Uncle Tupelo, August And Everything After
dei Counting Crows e The Southern Harmony And Musical Companion dei Black
Crowes rappresenta le fondamenta per la rinascita del classico sound a stelle e
strisce (guarda caso tutti questi album vengono pubblicati nel giro di un paio
d’anni) .
L’attenzione verso le radici è palese fin dalla copertina che cita il
primo album dei Crosby, Stills & Nash (il gruppo se ne sta seduto su un
divano) e da sonorità che chiamano alla mente i Byrds, i citati CS&N, Gram
Parsons e The Band. Ma il suono, seppur radicato, si tinteggia di cromatismi
pop mai zuccherini (ecco per la prima volta il sentore beatlesiano) e viene
impreziosito da l’interplay vocale fra Olson e Louris (sorretto da controcanti
e cori) mai così perfetto, raffinato, intenso. Vengono riletti superbamente due
brani da Blue Earth (la citata Two Angels e Martin’s Song), ma il meglio, tra
le tante splendide canzoni, arriva con
la ballata folk di Waiting For the Sun (la prima hit del gruppo), la
neilyounghiana Crowded In The Wings e la superba Clouds, che dimostra una volta
di più quanto la miglior freccia all’arco dei Jayhawks sia rappresentata
soprattutto dalla capacità di creare melodie senza tempo. Prodotto da George
Drakulis, l’album vede fra gli ospiti il leggendario Nicky Hopkins al
pianoforte (The Rolling Stones, The Jefferson Airplane) e Benmont Tench (Tom
Petty).
Il successivo Tomorrow The Green Grass (1995, Voto: 8) ripropone la
formula del suo predecessore, anche se le canzoni suonano decisamente meno rock
a favore di un’impostazione più decisamente pop. Un nuovo batterista, Don
Heffington, un nuovo membro (la tastierista Karen Grotberg) e la presenza di
alcuni ospiti, Sharleen Spiteri alle voci, Lili Hayden e Tammy Rogers agli
archi, e soprattutto Victoria Williams (moglie di Mark Olson e star della scena
country-folk americana) contribuiscono ad arricchire gli arrangiamenti e a completare
il processo di maturazione di un percorso che finalmente porta ai Jayhawks il
successo commerciale e la meritata attenzione mediatica. Anche in questo caso
le belle canzoni si sprecano, merito di Olson e Louris, le cui voci sono nuovamente
in perfetta simbiosi e le cui penne continuano a scrivere melodie di solare
lirismo. Blue, Two Hearts, Bad Times (cover dei Grand Funk Railroad) e Over My
Shoulder sono il meglio di un album che convince nuovamente per la facilità
disarmante con cui queste canzoni toccano il cuore dell’ascoltatore senza mai
sbracare nel melenso.
Qualcosa però all’interno del gruppo si è incrinato:
Olson vorrebbe dare un taglio più decisamente country rock alla musica dei Jayhawks,
Louris invece preferirebbe continuare a battere una strada più marcatamente
pop. Olson, quindi, se ne va, anche perché vuole stare vicino alla moglie,
Victoria Williams, gravemente malata di sclerosi. Così Louris prende saldamente
in mano il progetto e rimescola le carte della formazione : entra nella line-up di Tim O' Reagan,
batterista e cantante che da quel momento in poi, assieme a Louris e Perlman,
farà parte dello zoccolo duro del gruppo. Ai tre e a Karen Grotberg (tastiere)
si aggiungono il chitarrista Kraig Johnson e Jessy Greene agli archi. Il
risultato è Sound Of Lies (1997, Voto: 6), un disco poco sentito e molto
leggero, con parecchi riempitivi, in cui la mano di Louris, e la sua passione mai
celata per il quartetto di Liverpool, si fa sentire pesantemente. Con la sola
eccezione di Trouble, unica canzone all’altezza dei precedenti, i brani che
compongono l’album, pur denotando la classe e l’estro melodico di Louris,
appaiono fiacchi e privi di quel fascino a cui contribuiva l’approccio più rock
di Olson.
Il successivo Smile (2000, Voto: 5), nonostante la produzione di un
guru, quale Bob Ezrin, è il punto più basso della carriera dei Jayhawks, ormai
indirizzati verso un pop molto radiofonico, che ottiene un ottimo ritorno di
vendite (I'm Gonna Make You Love Me) ma è carente di qualità e intuizioni.
Ormai il gruppo sembra arrivato al capolinea. Ma tre anni dopo, nel 2003, Rick
Rubin interviene personalmente per raddrizzare le sorti della band. Mette alla
produzione l’inglese Ethan Johns (Kings Of Leon, Laura Marling, The Vaccines,
etc) che va a recuperare il suono degli esordi. Alla riuscita dell’album
contribuisce anche il nuovo innesto del duttile polistrumentista Stephen
McCarthy. Il disco, intitolato Rainy Day Music (2003, Voto: 7 ) è bello,
suonato meravigliosamente bene e finalmente di nuovo ricco di quella vena
creativa che aveva contraddistinto le cose migliori di Louris. La slide di Madman,
la byrdsiana Stumbling Through The Dark, l’immensa e commovente Will I See
You In Heaven, restituiscono ai fans un gruppo nuovamente in salute.
Nonostante
il riavvicinamento tra Louris e Olson, sancito dall’acustico e affascinante Ready
For the Flood (2009, voto: 7), bisognerà aspettare altri otto anni prima che
veda la luce il nuovo disco dei Jayhawks, e cioè Mockingbird Time (2011, Voto:
8). Una scrittura cristallina, le tasche piene di
melodie di facile presa, l’incastro assolutamente perfetto di due voci che
sanno toccare il cuore e l’interplay sincronizzato fra chitarre elettriche e
acustiche, sono le caratteristiche essenziali di un filotto di quattordici
canzoni quasi tutte di livello. Che l’ispirazione sia alta, lo si capisce
subito dall’iniziale Hide Your Colors,
luminoso pop rock in chiave harrisoniana
che nel finale vira inaspettatamente verso il soul. Con Tiny
Arrows i Jayhawks costruiscono un
monumento west coast che non
avrebbe sfigurato in Deja Vù dei CS&N (acustica, elettrica e slide
riempiono meravigliosamente ogni angolo della canzone). Closer To Your Side
e, soprattutto, l’ispiratissima She
Walks In So Many Ways (una vera delizia per le orecchie) citano smaccate
e ruffiane i cromatismi chitarristici dei migliori Byrds, mentre High Water
Blues è un salto a ritroso nel tempo alla San Francisco dei Jefferson Airplane. La ballata che da
il titolo al disco è un agro-dolce richiamo ai REM più acustici, e nonostante un mezzo passo falso (l’incolore Guilder Annie ), in scaletta spunta
un’altra ballata incredibile, Black Eyed Susan, che evoca Dylan, cita Parsons e chiude in un crescendo di tensione tra drammatiche note
di violino. Mockingbird Time non
solo segna un ritorno atteso da troppo tempo, ma ci riconsegna un gruppo in
palla come ai tempi di Tomorrow The Green Grass. In attesa di nuovi,
emozionanti sviluppi.
Blackswan, domenica 02/02/2014
3 commenti:
Mamma mia, che tuffo nel passato... pensare che mi piacevano davvero (qualche nastro deve esserci ancora in uno scatolone in garage).
Ora vado a completare il viaggio nel tempo sui link youtube che hai postato ;)
@ El Gae: Arghhhhh ! I nastri in garage ! Anche io purtroppo ho una decina di scatoloni di cassette...che malinconia :(
"Thin white rope"
ti(vi) dice niente?
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