Se devo trovare un
aggettivo che descriva al meglio la musica di Bob Seger, l'unica parola che mi
viene in mente con insistenza è ruspante. Il cui significato, peraltro,
raddoppia di intensità quando Live Bullet finisce sul piatto dello stereo.
Figlio del midwest e del mondo proletario dei blue collar (la classe operaia
americana), trasferitosi fin da giovanissimo a Detroit, città in cui
l'industria automobilistica convive gomito a gomito con un'incendiaria
sottocultura musicale (il blues, la Motown, il protopunk, l'hip hop di
Eminem), Bob Seger ha incarnato, forse meglio di chiunque altro, le
contraddizioni della sua città. In uno degli stati (Michigan) a più
alta concentrazione di abitanti bianchi, meta di turisti e amanti della natura,
Detroit rappresenta una sorta di refuso topografico: fabbriche, grattacieli,
degrado urbano, tasso di criminalità da primato e una popolazione costituita per
l'80% da afroamericani. In questa cornice nasce il rock di Seger: un
pub rock ruvido, energico, dal tasso alcolico esagerato, contaminato dal
funky e dal rhythm n blues, musica per bianchi e neri, accomunati dalla fatica della
catena di montaggio e da un palato abituato ai sapori forti. In una parola:
ruspante. Quando le sere del 4 e del 5 settembre del 1975, la Silver
Bullet Band suona al Cobo Hall di Detroit, innanzi a un pubblico
eccitatissimo, ciò che la gente vuole è esattamente ciò che Seger ha sempre
promesso in ogni sua canzone: sangue, lacrime e sudore, piede pigiato
sull'acceleratore, tonnellate di negritudine e rugginose ballads a rinfocolare
l'orgoglio proletario (Beautiful Loser è in tal senso una sorta di manifesto
classista). Take no prisoners, non si fanno prigionieri, si picchia duro, si da
tutto fino alla fine, finchè ce n'è. Ne esce uno dei live più intensi della
storia, incendiario fin dall'incipit di Nutbush City Limits (Tina Turner),
ispida e irruvidita oltre modo, e che regalerà a Seger un'attenzione
mediatica e un successo commerciale fino a quel momento assolutamente
impensabili. Attraverso classiconi senza tempo (Ramblin' Gamblin' Man,
Katmandu e Turn The Page, che sarà coverizzata quindici anni dopo
addirittura dai Metallica nell'album Garage Inc.), virili ballate elettriche
(Travelin' Man e la già citata Beautiful Loser), anfetaminici rock'n'roll (Get
Out Of Denver) e funky indemoniati (I've Been Working, Bo Diddley) si arriva a
fine scaletta elettrizzati, sfiancati, madidi di sudore, ma ferocemente
decisi a ricominciare da capo. Se il senso di un disco live è quello di
restituire il coinvolgimento emotivo e le vampate di adrenalina che solo il
palcoscenico può dare, Live Bullet, nella sua dimensione selvaggia
e privata da filtri tecnologici, ne rappresenta uno degli esempi
più riusciti. Leggendario, travolgente, epico.
Blackswan, lunedì 15/09/2014
3 commenti:
Ah, ma questo è un grande album, senza dubbio. Un grande album di artigianato e mestiere rock, senza troppi giri di parole e fronzoli mediatici.
Una Detroit forse non più rivoluzionaria ma dicerto non doma.
Sempre un piacere risentirlo!
Grazie Nick!:::)))
Troppo "ruspante" per il successo planetario che baciò Springsteen. Ma molto, molto meglio.
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