domenica 17 aprile 2016

WILLIE NILE – WORLD WAR WILLIE



In attività ormai da quarant’anni, Willie Nile, dopo due decenni tribolati, ha ritrovato, negli anni ’00, una clamorosa verve creativa, come stanno a testimoniare i cinque dischi pubblicati dal 2009 a oggi. Dopo il tentativo, peraltro ben riuscito, di virare verso una dimensione più intima (il confessionale di If I Was A River del 2014), con World War Willie, Nile torna al suo rock diretto e sincero, che porta nel Dna il segno distintivo di New York e delle sue infinite strade. Una musica fatta di slanci, venata di folk e di punk, capace di replicarsi disco dopo disco, senza scendere mai a compromessi verso le mode del momento.  Questo rock primitivo, prevedibile quanto vuoi, ma generoso fino al midollo, continua a stupirci e a divertirci. Non tanto per la scrittura, che mostra qualche crepa e in questo ultimo full lenght appare un po’ usurata, quanto, semmai, per l’energia con cui Nile si approccia a ogni canzone, come se non fosse passato un solo giorno dal suo folgorante esordio datato 1980, come se ogni singola nota tentasse di abbattere gli spazi angusti dello studio di registrazione per riappropriarsi della propria dimensione stradaiola. In tal senso, World War Willie è il fratello minore dello straordinario American Ride (2013), più ovvio e meno brillante a livello compositivo, ma altrettanto verace nel suo impatto di elettricità ad alto voltaggio. Si parte a mille, con il piano springsteeniano di Forever Wild, una canzone, forse risaputa, ma travolgente per quel mood da caciara per sbornia conclamata che la pervade. Niente di nuovo, certo, ma clamorosamente divertente. Così come irresistibili sono Grandpa Rocks, sudatissima tirata che sfoggia un riffone alla Ac/Dc, la title track, graffio punk e manifesto della consanguineità fra Nile e i Clash, o il convulso rock’n’roll di Hell Yeah che arriva direttamente dagli anni ‘50. Non manca, poi, lo spazio per le consuete ballate ruvide e virili (Runaway Girl, Beautiful You) e per un paio di sinceri tributi a due grandi icone del rock a stelle e strisce: il folk di When Levon Sings, dedicata al compianto Levon Helm, batterista della Band, e la cover di Sweet Jane di Lou Reed. Il tutto per cinquanta minuti circa di musica che, con tutti i suoi limiti, riesce comunque a farci stare bene. Perché le canzoni di Willie Nile non cambieranno certo il corso della storia, ma sanno raccontarla con il cuore in mano, come solo in pochissimi, oggi, sono in grado di fare.

VOTO: 7 





Blackswan, domenica 17/04/2016

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