Ci sono dischi che lasciano inevitabilmente perplessi,
soprattutto quando provengono da musicisti di indubbia caratura artistica, con
alle spalle lavori ben fatti, di quelli che ritrovi ad ascoltare con piacere
anni dopo la loro uscita. E' il caso di Robert Ellis, ottimo songwriter e
chitarrista texano, con alle spalle tre album di ottima fattura e un'idea di
americana capace di sposarsi meravigliosamente bene con raffinate melodie pop.
Oggi, Ellis torna con un nuovo disco dedicato a una storia d'amore finita,
interamente composto e autoprodotto dallo stesso chitarrista. ed è proprio
sulla produzione che casca l'asino. Perchè Ellis non abbia voluto
mantenere in vita il sodalizio con Jacquire King, che aveva fatto tanto
bene con il precedente e celebrato The Lights From The Chemical Plant, non solo
è un mistero ma è anche la classica zappa sul piede. Il songwriting del
musicista texano, capace di delicatezze compositive che spesso hanno indotto ad
accostamenti con Paul Simon (ascoltate l'iniziale Perfect Strangers e
California, per intenderci), viene qui, infatti, soffocato da una
produzione invasiva, che fa abbondante uso di MIDI keyboards, sezioni d'archi,
ambient noise e sintetizzatori in dose massiccia. Il risultato è confuso e
innaturale, e la sensazione dominante è quella che Ellis abbia
gettato un'occasione dalla finestra. A parte alcuni filler, riconoscibili al
primo ascolto (la strumentale Screw, ad esempio, è un esperimento elettronico
che non funziona), le canzoni ci sono e le melodie anche. Il problema, semmai,
è che tutto è pasticciato e pomposo, e brani che in una veste scarna
sarebbero splendidi (You're Not The One viene letteralmente uccisa da un
fastidioso arrangiamento d'archi), perdono di efficacia per un eccesso di
artificio. Così, alla fine, le cose migliori sono i due brani poc'anzi citati
(Perfect Strangers e California possiedono un delizioso retrogusto seventies),
l'onestissimo gancio radiofonico di How I Love You e il fingerpicking seducente
di Elephant. Il rimanente lotto, se fosse denudato da inutili orpelli, ci
farebbe propendere per un'abbondante sufficienza. Invece, così, resta l'amaro
in bocca per un enorme potenziale malamente dissipato.
VOTO: 5,5
Blackswan, venerdì 24/06/2016
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