In concomitanza
con l’uscita di Born To Run, autobiografia scritta di proprio pugno dallo
stesso Boss, in commercio a partire dal 27 settembre scorso, Bruce Springsteen
da alle stampe anche Chapter And Verse, ennesima raccolta che, fin dal titolo
assai esplicito, sembra essere sta concepita come una sorta di colonna sonora
per accompagnare la lettura del libro. Una sorta di greatest hits, dunque, che
ripercorre le tappe di una straordinaria carriera, raccontandoci in note ciò
che Born To Run racconta a parole. La scaletta, e non potrebbe essere
diversamente, ricomprende l’ovvio, e cioè quei brani che sono imprescindibili se
si vuole comprendere il valore artistico di Springsteen. Born To run, The
River, Badlands, Born In The Usa, The Rising, per citarne solo alcuni, sono
l’inevitabile tributo da pagare alla leggenda, una sorta di forzata ridondanza
che non ecciterà certo gli animi di coloro che seguono il Boss da sempre. Non
banale, invece, la scelta di altre canzoni, sicuramente note agli aficionados,
ma un po’ meno a quelli che l’artista lo conoscono così così. Ecco, allora,
brani come Long Time Comin’ da Devils & Dust, My Father’s House da
Nebraska o Living Proof dal modesto Lucky Town. Il valore aggiunto della
raccolta, però, costituito dai cinque inediti che aprono il disco, cinque brani
provenienti dalla preistoria e incisi negli anni della gavetta del Boss.
Springsteen prima di Springsteen, dunque, quando il ragazzo del New Jersey si
affacciava al mondo della musica e cominciava a definire uno stile. Baby I
(risalente addirittura al 1966) e You Can’t Judge A Book By The Cover
(reinterpretazione del mitico brano scritto da Willie Dixon e pubblicato per la
prima volta da Bo Diddley nel 1962) sono materiale del repertorio dei Castiles,
prima band di Springsteen, e suonano acerbe, confuse e decisamente sgangherate.
Si sente la passione, la forza primigenia del rock, ma sono canzoni troppo
ingenue e raffazzonate per aver un qualche valore artistico. He’s Guilty (brano
datato 1970) è un rockaccio a chitarre spiegate, dal suono molto seventies e
risaputo, e ancora lontano dallo stile convincente, seppur embrionale, di
Greetings From Asbury Park, NJ. Meglio, le due successive canzoni: The Ballad
Of Jesse James, un solido country rock che paga debito alla Band, e Henry Boy,
chitarra acustica e voce a tracciare la linea melodica che darà corpo e anima
alla ben più nota Rosalita. Cinque brani, dunque, che per quanto non
imperdibili a livello compositivo, ci raccontano l’alba di una straordinaria
avventura e ci aiutano a comprendere l’evoluzione artistica di uno dei padri
della canzone americana. E’ questo il merito esclusivo di una raccolta che,
diversamente, vestirebbe gli scomodi panni di operazione commerciale e sarebbe
consigliata solo ai neofiti.
VOTO: 7
Blackswan, martedì 04/10/2016
2 commenti:
tra qualche giorno dovrei finalmente riuscire ad accaparrarmi entrambi ma ho la sensazione che il cd sia davvero piu' una colonna sonora per il libro, vera e propria chicca per chi ama Bruce
@ Beatrix: il libro devo ancora iniziarlo. Il cd, se hai già tutto di Bruce, ha davvero poco senso.
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