Lo stick sul cellophane
che avvolge la copertina del nuovo full lenght dell’ex Police recita
testualmente: “Sting’s first rock/pop
album in over a decade”, quasi a voler rassicurare i numerosi e nostalgici fans
di mr. Sumner. I quali, dopo anni passati a masticare amaro tra sperimentazioni
di vario tipo (musica barocca, traditionals invernali e riletture classiche di
vecchie hit), sarebbero ben felici di avere fra le mani qualcosa che, anche
alla lontana, possa ricordare gli anni gloriosi di Reggatta De Blanc. Una mano
compassionevole, però, ha inserito nell’accattivante claim anche la parola pop,
quasi a voler mitigare la sparata eccessiva ed evitare che qualcuno si
convincesse a priori di trovarsi ad ascoltare delle nuove Message In A Bottle o
Bring On The Night. Già, perché le cose più rock che troverete in questo full
lenght nuovo di zecca, sono lo sguardo attento di Sting mentre attraversa
l’incrocio fra la 57° strada e la 9°, evitando così di essere stirato da un
camionista ubriaco, la produzione di Martin Kierszenbaum, che asciuga il suono
dandogli una bella sensazione di secca presa diretta e Petrol Head, graffio
chitarristico, in cui si ha l’impressione che l’ex Police possa avere un
infarto da un momento all’altro, ma che indubbiamente saprà suscitare una
lacrimuccia di nostalgia nei fans di vecchia data. Il resto del lotto, però, è
pop, ben confezionato, ben suonato e levigato ad uso e consumo di numerosi
passaggi radiofonici. Fatta questa precisazione, onde evitare eccessive
aspettative nell’ascoltatore, possiamo dire, senza timore di fraintendimenti,
che 57th & 9th è tutto sommato un disco più che dignitoso, in cui Sting sciorina,
tra alti e bassi, il consueto repertorio con consumato mestiere. Alcuni brani,
e qui siamo alle dolenti note, sono pervasi da quella inclinazione agli
zuccheri che in più di un’occasione ci ha frantumato gli zebedei e che
metterebbe al tappeto un diabetico dopo solo un ascolto. In tal senso, le conclusive Inshallah e The Empty Chair sono
pressoché inascoltabili anche qualora il vostro senso per il rock si limitasse a
qualche vecchia hit dei Bread. Nello stesso modo suona anche One Fine Day, il
cui ritornello ruffiano saprà cariare più di un incisivo, facendo la fortuna di
qualche dentista. Le altre canzoni, invece, reggono diversi ascolti, senza far
cadere il latte alle ginocchia. I Can’t Stop Thinking About You è la madre di
tutte le furbate, ma, diciamolo francamente, è orecchiabile senza sbracare e, a
più riprese, diventa quasi irresistibile. 50.000 inizia rumorosa come Love Is A
Long Road di Tom Petty, ma si ammoscia subito come le nostre speranze, anche
se, tutto sommato, mantiene una malinconica dignità di fondo grazie alla voce
di Sting, che il tempo ha parecchio inspessito, conferendole una convincente
gravità. Due brani ci sono piaciuti più degli altri: Pretty Young Soldier, mid
tempo elettrico dal retrogusto vagamente folk, e If You Can’t Love Me, ballata
arresa attraversata da autentici lampi di drammaticità. In definitiva, Sting non
ha messo a segno il suo disco del decennio, ma non ha nemmeno partorito uno di
quei cd che, almeno per quanto riguarda il sottoscritto, sono stati usati,
spesso e volentieri, con la funzione alternativa di sottobicchieri per la
birra.
VOTO: 6
Blackswan, mercoledì 16/11/2016
4 commenti:
Il disco non l'ho ancora sentito, ma I can't stop thinkin' about you mi piace di brutto.
@ Ford: il singolo è carino, molto orecchiabile. Il disco va a fasi alterne, ma molto meglio di altre vaccate che ci siamo sorbiti in passato.
Non è un commento da musicofilo, ma posso dire che a me quest'uomo è sempre stato potentemente sui coglioni?
Mi sapeva di finto già ai tempi dei Police.
Cioè mi sapevano di finto i Police.
I punk biondi e tanto carini.
Grrrrrr!!!
Ezzelino: questione di gusti, Ezzelino. I primi Police a me piacevano molto: una rockstar in pectore (Sting), un chitarrista sperimentale (Summers) e un genio alla batteria (Copeland). Qualche buon disco l'han fatto. Poi, Sting da solo, a parte The Blue Turtles,ha avuto una carriera mediocre. Besos!
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