Prendete Buddy Holly, fatelo rinascere nel 1986 nel sud
della California da genitori con in casa una ricchissima collezione di vinili
Stax e Motown, fategli imbracciare una Gibson e mettetelo a suonare Soul e
R’n’B. Avrete Nick Waterhouse, stessa faccia da bravo ragazzo, camicie bianche,
completi scuri, cravatta d’ordinanza. Mai un dubbio su cosa vorrà fare da
grande: il cantante, come quelli che ascoltano mamma e papà: Eddie Floyd e Wilson
Pickett oppure, perché no, Bobby Darin. Indispensabile quindi approfondire la
conoscenza della Black Music degli anni ‘50 e ‘60 unitamente ad altri generi musicali
assimilabili come Swing, Boogaloo e il Jazz delle grandi orchestre alla Duke
Ellington. Da qui in poi Waterhouse fa sul serio mettendosi in gioco in prima
persona con la formazione di una Mod-band chiamata Intelligentsia che
riscuoterà un buon successo a livello locale. Seguiranno gli anni del college a
San Francisco, la frequentazione di un negozio di dischi specializzato in memorabilia
e rarità dei sixties e gli studi The Distillery
di Mike McHugh dove Waterhouse verrà introdotto alle tecniche di registrazione
in analogico. Dal sodalizio con McHugh nasceranno i primi 45 giri (Some Place del 2010) e l’attività di
produttore discografico della nuova ed effervescente scena Garage/Rock
californiana.
Il 2012 è l’anno della svolta e della grande visibilità
internazionale, in pochi mesi dà alle stampe il suo album d’esordio, Time’s All Gone, ed è dietro al banco
regia di quello degli Allah-Las. Nel 2014 è la volta di Holly: l’esame di maturità che Waterhouse supera brillantemente
senza mai perdere di vista il suo progetto originario che definire vintage
suonerebbe oltremodo riduttivo. Si fa fatica ascoltando i suoi dischi a credere
che siano stati realizzati in questi anni. Più facile immaginare ad un
miracoloso ritrovamento di oscure perle a 45 giri provenienti dall’America di
Eisenhower.
Perché è così che suonano le canzoni di Waterhouse, materiali
sonori antichissimi che nulla concedono alle trasformazioni intervenute nei
decenni che hanno via via cambiato e attualizzato la grande tradizione della
musica popolare degli States. Per qualcuno, e non a torto, questo potrebbe
equivalere ad uno sterile esercizio di stile, ma qui interviene la grande
maestria compositiva di Waterhouse che, oltre ad essere perfettamente a suo
agio nei panni eleganti ed inappuntabili dell’entertainer d’antan, ha in
repertorio una quantità impressionante di pezzi straordinari che tengono agilmente
il passo degli standard evergreen di quell’epoca a noi lontanissima.
Anche per Never
Twice vale il detto nessuna nuova, buona nuova, il miglior complimento che
si possa fare a Nick Waterhouse. Il disco suona datatissimo anche grazie agli
infiniti stratagemmi produttivi (è sempre il fedele McHugh a curarne la resa in
analogico) risultando tuttavia freschissimo all’ascolto anche per merito di una
backing band composta da session man di primissimo livello. Si parte con It’s Time, R’n’B infuocato che arriva
dritto da New Orleans con una splendida sezione fiati in cui primeggiano due
grandi interpreti del sax: “Moist” Paula Henderson (Roots, TV On The Radio,
Gogol Bordello) e Ralph Carney già al fianco di Tom Waits e Elvis Costello. Si
prosegue sulla stessa falsariga con la coinvolgente I Had Some Money (But I Spent it) e, se in Straight Love Affair è l’organo Hammond di John Allair a fare faville
come nei dischi dei Booker T., Stanyan
Street svisa verso territori battuti dal Jazz d’altri tempi. L’incantevole Baby, I’m In The Mood For You di Bob
Dylan è l’unica cover del disco che Waterhouse ci restituisce in una versione
sospesa e sognante ricca di sensazioni tropicali. Infine i due pezzi più
immediati: Katchi che entusiasma con
il suo andamento arioso e solare e Tracy,
trascinante R’n’B, primo singolo estratto dall’album scritto a quattro mani
con Leon Bridges, altro fenomeno della nuova scena Soul americana. In Never Twice, Waterhouse conferma i
vertici toccati nei due precedenti album, realizzando un altro lavoro caldo e
raffinato, ricco di contenuti, fusione abilissima dei generi musicali che gli
sono cari fin dalla più tenera età. Un celebre aforisma di Oscar Wilde diceva: Nulla è pericoloso quanto l’essere troppo
moderni. Si rischia di diventare improvvisamente fuori moda. Non è il caso
di Nick Waterhouse, il giovane più vecchio del Rock contemporaneo.
VOTO: 7,5
Porter Stout, venerdì 02/12/2016
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