domenica 14 maggio 2017

SUNDAY MORNING MUSIC







The Maharajas – Don’t Wanna Lose You

Tutti a dire che il Rock è morto e sepolto, son trent’anni (di più!) che provano a convincerci: è morto quando i Clash hanno cacciato Mick Jones, è morto quando gli Smiths si sono sciolti, è morto quando i Primal Scream hanno dato alle stampe Screamadelica, è morto ogni volta che Kurt Cobain è morto. Tutte cazzate, mettete su un disco dei Maharajas e di colpo editti, accuse, necrologi, etc, cadranno come la più strampalata delle teorie complottiste. La Garage band svedese, tra le protagoniste assolute dell’ondata neo-sixties degli anni ‘00, non ha bisogno di nessun bonus mediatico, salgono sul palco ed inizia la festa, Don’t Wanna Lose You dura poco più di 100 secondi ma dentro c’è tutto il R’n’R di cui abbiamo bisogno. Devastanti!





Richard Buckner – Hoping Wishers Never Lose

Inspiegabile il motivo per cui il fenomenale songwriter californiano Richard Buckner sia rimasto sempre ai margini degli ambienti che contano. Dotato di grande tecnica chitarristica e una voce riconoscibile tra mille, Buckner ha dato alle stampe una manciata di album di primissimo livello nel panorama Alt/Folk. Devotion + Doubt e Since, usciti nel biennio 97/98, avevano fatto gridare al miracolo scomodando paragoni con artisti del calibro di Elliott Smith, Bill Callahan e Mark Eitzel. Hoping Wishers Never Lose è tratta invece da Impasse del 2002, forse il suo disco migliore (sicuramente il più rockeggiante), e ogni volta che la si riascolta viene da augurare al buon Richard tutto il successo che la sorte non gli ha riservato. 





Waves Of Fury – Businessman’s Guide To Witchcraft

I Waves Of Fury hanno messo a regime davvero troppo poco (un ep e un album) per poter sperare di intercettare l’uditorio sempre più distratto e passivo di questi tempi in cui son d’avanzo le playlist di Spotify. Comunque, per gli amici che provano ancora a ribellarsi alla dittatura del preconfezionato, ecco una band che vale la pena recuperare e diffondere. Inglesi, londinesi trapiantati a Bristol, esordiscono a fine 2012 rimettendo in discussione la lista degli sfizi di quell’anno. Thirst è fatto di materiale incendiario, Shoegaze, Garage e Soul, feedback, humor e ottoni, Carter Sharp aggredisce il microfono neanche fosse il Johnny Lydon di Metal Box. Businessman’s Guide To Witchcraft è il diamante (grezzissimo) del disco, uno dei classici minori di questi ultimi anni. 





Porter Stout, domenica 14/05/2017

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