Nativa
dell’Arkansas, dove si è accostata alla musica fin da piccola,
strimpellando la chitarra del papà, Ashley McBryde, dopo la laurea, si è
trasferita a Nashville, città in cui ha cominciato a muovere i primi
passi come songwriter. Due dischi e un Ep autoprodotti, la solita
gavetta nei soliti locali del circuito country, e poi il fortuito
incontro con Eric Church, che l’ha presa sotto la propria ala
protettrice e l’ha fatta mettere sotto contratto dalla Warner Bros.
Nashville.
Questo, in sintesi, il sunto di una fulminante carriera, culminata l’anno scorso con la pubblicazione del singolo A Little Dive Bar in Dahlonega,
inserito dal New York Time fra le cinquantaquattro canzoni più belle
del 2017. Un ottimo trampolino di lancio per la pubblicazione del disco
d’esordio, uscito a fine marzo e prodotto da Jay Joyce, guru del rock
americano, sodale di lunga data proprio di Eric Church e produttore, tra
gli altri, di Patty Griffin, Cage The Elephant e John Hiatt.
Girl
Going Nowhere, nonostante la provenienza nashvilliana e l’imprimatur di
Church, è un disco molto meno country di quanto ci si potrebbe
aspettare. Le undici canzoni in scaletta, infatti, alternano intense
ballate a brani percorsi da ruspante elettricità, raccontano sentimenti
di grana grossa ma incredibilmente sinceri, sono dirette, immediate e
prive di fronzoli. Un suono tipicamente americano e verace, talvolta
affetto da citazionismo, in altri casi nobilitato da una grande passione
che rende emozionante anche il prevedibile.
La title track
apre il disco all’insegna della nostalgia, chitarra acustica, la bella
voce di Ashley e gli altri strumenti che entrano a metà brano, mentre
fuori dal finestrino la highway si perde in un orizzonte al tramonto. Il
tempo di cambiare chitarra e parte il rock pestato di Radioland, grintosa tirata dal sapore springsteeniano.
Procede
così, Girl Going Nowhere, tra momenti morbidi e chitarre arroventate, e
a tratti, non lo nascondo, è davvero un bel sentire. Southern Babylon è bluesata, sofferta e notturna, The Jacket rockeggia allegra e radiofonica, Livin’ Next To Leroy sfodera zampate sudiste e si chiude con il tiro incrociato di chitarre sferraglianti, mentre Home Sweet Highway chiude il lotto in bellezza con un mid tempo di sanguigno rock soul.
Svetta tra tutte Andy (I Can’t Live Without You),
confessione d’amore che sbriciola il cuore con stordente sincerità. Una
canzone tanto riuscita, che si perdona a Ashley qualche passaggio
ingenuo, come la successiva El Dorado, che suona pericolosamente uguale a Dancing In The Dark del Boss.
Un
filotto di canzoni non certo memorabili (ma quante ne ascoltiamo di
veramente memorabili?), tra le quali, però, non c’è nulla che venga voglia di
gettare nel cestino. Anzi, il disco si fa ascoltare più volte, e
l’impressione finale è che la McBryde debba solo mettere maggiormente in
luce quella personalità che in alcuni passaggi di Girl Going Nowhere
emerge prepotentemente. Il talento c’è. Quindi, buona la prima e
promossa a pieni voti.
VOTO: 7
Blackswan, domenica 15/04/2018
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