Ricondurre
la città di Nashville al country è una cosa così immediata che la
saprebbero anche i bambini. Eppure, in un ambiente così legato alla
tradizione (ma dal un suono prevalentemente radio friendly), talvolta
nascono band che se ne vanno in direzione ostinata e contraria.
E’
il caso dei All Them Witches, combo di stanza in Tennessee, nato nel
2012 e autore al momento di cinque full lenght in studio, compreso
questo di cui scriviamo, nei quali di roots non compare traccia. Anzi, a
dire il vero, qui siamo agli antipodi, e l’architettura del disco si
fonda prevalentemente su chitarroni distorti e tonnellate di fuzz, che
prendono corpo in un contesto sonoro prevalentemente cupo e stanno a
debita distanza dalle frequenza FM.
Gli
All Them Witches, infatti, si muovono in ambito noise, ampia
definizione nella quale i nostri riescono a far confluire in gran
quantità (e coagulare) psichedelia, doom, stoner, blues e rock tout
court. Non si può certo dire che qui l’originalità sia di casa; ciò
nonostante, il quartetto originario di Nashville, imbastisce una
scaletta solida, rumorosa, in cui a ballate livide e crepuscolari (HJTC) si alternano improvvise accelerazioni rock (l’iniziale, adrenalinica, Fishbelly 86 Onions) e blues di matrice zeppeliniana, come la lunghissima Harvest Feat, più di dieci minuti dilatati in una coda strumentale dagli accenti psichedelici.
Se
da un lato la band dimostra di avere il completo controllo della
situazione, sia sotto il profilo della produzione che degli
arrangiamenti (l’odore delle chitarre che bruciano lentamente si sente
proprio tutto), dall’altro, mi pare che manchi quell’intuizione che
elevi lo standard compositivo, e la sensazione finale è quella di aver
sentito queste canzoni già un migliaio di volte, visto che il disco
pullula di citazioni, a partire dagli Zep (Rob’s Dream sviluppa un tema da No Quarter) per finire ai Blue Cheer, qualcosa in più che una semplice fonte di ispirazione.
Non
c’è nulla, comunque, che non funzioni in questo quinto album in studio,
intitolato con l’acronimo della band, ATW, e il disco, soprattutto per
gli amanti di quel suono risalente agli anni ’70, funziona dall’inizio
alla fine, pur non presentando picchi qualitativi eccelsi.
Insomma,
ATW è una prova più che dignitosa e, a tratti, convinta e convincente;
manca, però, agli All Them Witches quell’intuizione o quello scarto
fantasioso che permetta loro di alzare il livello della proposta: la
matrice è una sola e da cinque dischi è riproposta in modo pressoché
identico.
VOTO: 6,5
Blackswan, mercoledì 07/11/2018
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