In un panorama musicale cristallizzato in prevalenza su standard consunti e formule prevedibili, il progetto degli Orphan Brigade spicca, oltre che per la qualità delle composizioni, anche per la volontà di infrangere consuetudini, scritte e non, e cercare forme espressive più libere e originali.
L’idea
è semplice ed efficace: creare una musica itinerante, che si leghi a
doppio filo con i luoghi in cui viene composta e suonata, in modo da
creare una geografia dell’anima e dell’arte, che suoni più sincera e
immediata di quanto possa avvenire in un normale studio di
registrazione. Hic et nunc, qui e ora, in un rapporto simbiotico tra le
note e ciò che le circonda. E questa continua migrazione della band,
alla ricerca di un’ispirazione che sia il meno artificiale possibile,
che trovi come fonte il contatto diretto tra gli artisti e un mondo
esterno, diverso ogni volta, è anche il grimaldello non solo per
raccontare uno spazio, un territorio, una località, ma anche per
recuperare le storie, le leggende e i misteri, spesso dimenticati, che
hanno contribuito a crearne la leggenda.
Nel
2015, gli Orphan Brigade (la cui anima è composta da Nelson Hubbard,
Ben Glover e Joshua Britt, nucleo attorno al quale ruotano valenti
musicisti), pubblicarono Soundtrack To a Ghost Story, disco registrato
presso la Octagon Hall di Franklyn, che non è uno studio ma una dimora
museo, appartenuta a Andrew Jacskon Caldwell, proprietario terriero,
morto nel 1866. Due anni dopo, nel 2017, gli Orphan Brigade si sono
trasferiti a Osimo, nel cuore delle Marche, dove il nuovo disco, Heart
Of The Cave, fu quasi interamente registrato. In questo caso,
l’originalità del progetto, fu scegliere il cuore della terra, e cioè i
famosi cunicoli sottostanti la città marchigiana, come location ove dar
forma alla scaletta dell’album.
Per
il terzo full lenght, l’ensemble americana si è spostata di nuovo, e
precisamente nella contea di Antrim, in Irlanda del Nord, tra distese di
verde lussureggiante, impervie falesie e il ruggito dell’oceano,
incombente, minaccioso e al contempo evocativo. Un luogo in cui lo
sguardo si perde tra i colori di una bellezza che sembra antichissima ed
eterna, e vola lontano, verso orizzonti oltre i quali, come recita il
titolo del disco, si trova il confine del mondo, così come noi lo
conosciamo.
E’
in questa magnifica cornice che le canzoni di To The Edge Of The World
sono state concepite e registrate: una musica in cui sonorità celtiche e
roots americano convivono in perfetta simbiosi, parti inscindibili di
un insieme fatto di contemplazione e riflessione (la conclusiva Mind The
Road, in tal senso, è un invito all’umanità a guardare le vestigia
della storia come monito per non ripetere gli errori del passato), di
storie misteriose e di fantasmi evocati.
Ogni
brano in scaletta è legato a un luogo preciso e porta con sé un
racconto: la splendida Captain’s Song, dedicata a un famigerato capo
clan del 1500, è stata scritta su una barca nella baia di Glenarm, e
vede anche il contributo del grande John Prine, la giocosa Fair Head’s
Daughter (dal testo, invero, molto cupo) è stata composta presso le
grotte della spiaggia di Cushendun, dove sono state girate due sequenze
de Il Trono Di Spade, mentre l’inquietante ballata Banshee, dedicata
alla figura mitologica femminile il cui lamento è annunciazione di
sventura, è stata registrata a mezzanotte, nella foresta di Glenarm.
Quattordici
canzoni in scaletta, suonate benissimo peraltro, che suonano come brevi
racconti e evocano luoghi e mondi lontani: da ascoltare in cuffia e da
godere fino in fondo, grazie anche al fatto che Appaloosa Records ha
inserito nel booklet tutti i testi tradotti in italiano e note a
margine.
Ennesimo, bellissimo disco.
VOTO: 8
Blackswan, martedì 15/10/2019
3 commenti:
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