Giunti
al quinto album in studio, i berlinesi Kadavar aggiungono un altro
tassello a una discografia in crescendo e, probabilmente, sfornano la
loro prova migliore. Un disco, questo, che presenta, peraltro, alcuni
elementi di novità rispetto alle opere precedenti.
Se
infatti le coordinate dell’hard rock forgiato dal gruppo teutonico
partono da molto lontano e continuano a guardare con insistenza al
passato, le nove tracce che costituiscono la scaletta di For The Dead Travel Fast
sono pervase da un mood cupo, ossianico, costruito attraverso atmosfere
notturne e inquiete. Un taglio gotico immediatamente rilevato dalla
copertina e dal titolo dell’album, e che trova la sua ispirazione, a
detta del leader, il cantante e chitarrista Christoph "Lupus" Lindemann,
nell’ascolto della colonna sonora di Suspiria scritta dai Goblin di Claudio Simonetti.
La
formula alchemica di queste canzoni rispecchia, a prescindere
dall’ambientazione fosca e vagamente sepolcrale, è la stessa di sempre:
un mix di hard rock, space, psichedelia e doom che guarda principalmente
agli anni ’70. Nello specifico, però, è stato fatto un ottimo lavoro
sia in fase di scrittura che in fase di produzione, con brani
articolati, complessi, tutt’altro che accomodanti e lineari, ma ricchi
di improvvisi cambi tempo e idee spiazzanti.
I due minuti iniziali di The End
introducono immediatamente alle atmosfere gotiche del disco: una
cantilena lenta, ultraterrena, che inquieta, subito spazzata via dalle
chitarre sfrigolanti che aprono alle sonorità space rock di The Devil’s Master, batteria martellante, basso distorto, riff peso e una voce che pare arrivare dall’oltretomba.
Nonostante
la potenza del suono, i Kadavar riescono comunque a tratteggiare
melodie sinuose che producono un effetto straniante nell’accostamento
alle atmosfere presbiteriane e a riff di chitarra neri come la pece. Evil Forces, ad esempio, possiede un accattivante taglio NWOBHM, pur evocando lo spirito maligno di Ozzy Osbourne, Children Of The Night,
dal titolo clamorosamente sabbathiano, ha un inizio arrembante, sfocia
poi in un riff alla QOTSA, con strofa e ritornello ruffianissimi, che
solo la svolta finale verso sonorità doom, introdotta da un assolo a
tutto wah wah, riporta nell’alveo della narrazione, mentre Saturnales, è una lenta ballata avvolta in spire psichedeliche e spettrali.
Nel disco, inoltre, convivono, sfuriate elettriche sferraglianti (Demons In My Mind), con brani dalla struttura più complessa, che quasi lambiscono il progressive (Dancing With The Dead), creando una contrapposizione sonora che dà la misura di quanto varia e affascinante sia la proposta del trio teutonico.
Un
disco, insomma, da non perdere, soprattutto per chi è rimasto legato a
un suono che riporta ai grandi fasti dell’hard rock in chiave Hawkwind e
Black Sabbath, ma vuole evitare letture pedisseque in favore di
un’interpretazione più libera e personale. E i Kadavar, senza ombra di
dubbio, sono al momento una delle band che riesce ad aggiungere elementi
di novità ad un canovaccio altrimenti logoro.
VOTO: 7,5
Blackswan, giovedì 14/11/2019
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