martedì 17 novembre 2020

SHEMEKIA COPELAND - UNCIVIL WAR (Alligator,2020)

 


Avevamo lasciato Shemekia Copeland due anni fa, all’uscita del bellissimo e militante America’s Child, album che successivamente le è valso la nomina a Living Blues Female Artist Of The Year. Dal 2018 a oggi, le cose non sono migliorate, anzi: non solo la pandemia, ma la cronaca quotidiana di un’America flagellata da scontri razziali e violenze gratuite della polizia nei confronti di gente di colore. La Copeland, che non ha mai fatto mistero delle proprie posizioni anti Trump, rimette in piedi la struttura che ci aveva fatto amare alla follia l’album precedente: testi diretti e inequivocabili, appassionata militanza, e uno straordinario bagaglio blues, riletto con impeto rock, con quella voce straordinaria capace di stenderti al primo colpo, e con la consapevolezza filologica di chi ama e conosce a fondo le proprie radici.

Uncivil War, dunque, riprende il filo del discorso esattamente dove si era interrotto con America’s Child del 2018, anche a livello di ospitate, visto che questo nuovo lavoro vede la presenza in scaletta di artisti del calibro Jason Isbell, Steve Cropper, Christone “Kingfish” Ingram, Webb Wilder, Duane Eddy, il mandolinista Sam Bush, il dobro di Jerry Douglas e i cori degli Orphan Brigade. La Copeland, come dicevamo poco sopra, continua a esprimere uno stile unico e un suono distintivo, che guarda alle radici (lei è la figlia del grande blues del Texas Johnny Copeland), e che trae ispirazione da molte influenze blues, provenienti dal sud degli States, anche se poi, l’impianto politico e sociologico delle liriche è clamorosamente nordista.

Questa dicotomia suono/testi si avverte molte volte nel corso dell'album, e l'esempio lampante arriva dalla splendida cover di Under My Thumb dei Rolling Stones. L'originale degli Stones è un brano machista che invita a tenere a freno una donna. È grande musica, ma veicola un messaggio frusto e sessista, che appartiene a un’altra epoca. La Copeland, invece, capovolge tutto, compresi i pronomi, in modo che la canzone parli di una donna di colore che supera l'oppressione, ribaltando la situazione in un modo che, oggi, risulta non solo politicamente corretto, ma anche più appropriato rispetto alla nostra visione della società.

Il blues è il perno prevalente su cui ruotano tutte le canzoni del disco (anche se poi ogni brano acquisisce sfumature diverse): Clotilda’s On Fire, canzone che racconta un fatto storico vero e ed è chiara presa di posizione contro il razzismo, vede la presenza alla chitarra di Jason Isbell, che concede una serie di assoli arroventati e dal sapore antico, Apple Pie and a .45 sfodera un’incredibile energia che frulla rock, blues e alt country, mentre il chitarrista blues di Wunderkind Christone "Kingfish" Ingram strapazza la sua sei corde, soffiando drammaticità e tensione nel graffiante rock blues di Money Makes You Ugly.

La Copeland, però, sa muoversi con straordinaria armonia anche nelle spirituali acque del gospel, attraverso l’appassionata Walk Until I Ride e la morbida title track, con Jerry Douglas ospite alla resofonica.

Produce il disco il cantante, compositore e chitarrista Will Kimbrough, e credo ci si debba levare tanto di cappello di fronte allo straordinario lavoro fatto dietro la consolle: qui ci sono brani tirati e ballate, c’è impeto e melodia, ci sono diversi generi che convivono, eppure la coerenza nei suoni è eccezionale. Merito anche della Copeland, la cui voce straordinaria si mette al servizio delle canzoni, cogliendone alla perfezione l’anima, il significato e l’essenza. Se avete amato America’s Child, troverete in questo nuovo Uncivil War ulteriori motivi per godere, dato che il disco, oltre a essere splendido, suona già come un instant classic di genere.

VOTO: 8

 


 

 

Blackswan, martedì 17/11/2020

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