
Moderni
moschettieri su uno scassato furgoncino, quattro amici in crisi da
maturità si lanciano in un improbabile viaggio per strappare un po' di
tempo all'esistenza e riaffermare la propria voglia di ribellione e
divertimento. Solo, ventisettenne oppresso da genitori troppo perfetti e
dal ricordo di una ex che sta per convolare a nozze; Blass, grasso e
goffo, alla frustata ricerca di un amore; Claudio, tombeur de femmes che
vive solo per l'amicizia, Raul, precipitato dalle fantasie sadomaso a
un tranquillo menage familiare con due gemelli a carico. Su un
furgoncino di seconda mano che olezza di formaggio, i quattro decidono
di concedersi un agosto da leoni, illusorio risarcimento dalla
quotidianità. Da Madrid a Valencia, da Saragozza ancora a Madrid,
attraverso una scia di risse, ubriacature, cuori infranti e amplessi
frettolosi, rinsalderanno la propria amicizia in una tardiva fine
dell'adolescenza. Un caleidoscopio di avventure, un romanzo acido e
melanconico che ha il ritmo del miglior cinema.
“Ho
sempre avuto il sospetto che l’amicizia venga sopravvalutata. Come gli
studi universitari, la morte o avere il cazzo lungo. Noi esseri umani
esaltiamo i luoghi comuni per sfuggire alla scarsa originalità della
nostra vita. Ecco perché l’amicizia viene rappresentata con patti di
sangue, lealtà eterne, e addirittura mitizzata come una variante
dell’amore, più profonda del banale affetto di copia. Eppure, non
dev’essere un vincolo tanto solido, se l’elenco degli amici perduti è
sempre più lungo di quelli conservati”.
Inizia così Quattro Amici,
il romanzo più famoso di David Trueba, scrittore, sceneggiatore e
regista madrileno, noto anche per aver diretto quel gioiellino datato
2013 e intitolato La Vita è Facile Ad Occhi Chiusi (sei premi Goya vinti).
Trueba
mette subito le cose in chiaro: questo è un romanzo che parla di
amicizia, ma non aspettatevi la solita storia infarcita di retorica e
ipocrisia, di slanci fraterni, di carezzevole e virile empatia. Questo è
un romanzo cinico e crudo, che non fa sconti al buonismo, che racconta
la verità di un legame tanto fragile quanto, in qualche modo,
indispensabile.
Solo,
Blas, Claudio e Raul partono per le vacanze, un’avventura on the road
su un furgone scassato e maleodorante, definita dai quattro Ventimila Leghe Subnormali, ma anche Il Lungo Viaggio verso La Fica, Viaggio al Centro Delle Cosce o Il Giro Del Culo In Ottanta Giorni. Roba da far impallidire schiere di benpensanti, oggi come allora (il romanzo è datato 1999).
Nessuna
meta, on the road duro e puro, il cui unico intento è quello di
scassarsi e scopare. Soprattutto scopare. Niente di strano, verrebbe da
dire, perché un viaggio così molti di noi lo hanno fatto o avrebbero
voluto farlo. E lo farebbero anche oggi, se ne avessero i mezzi e la
forza.
Inizia
da Madrid, questo vagabondare sconclusionato attraverso una Spagna
soggiogata dalla canicola estiva, spassosissimo e a tratti surreale, in
cui los amigos si imbatteranno in personaggi bizzarri e
divertenti peripezie, con lo scopo principale, lo abbiamo detto, di
portarsi a letto il maggior numero possibile di donne (infrangendo, con
scellerata noncuranza, quell’odierno, ostentato e ipocrita habitus etico
introdotto dal movimento MeToo).
Tuttavia,
solo una lettura superficiale del testo potrebbe far ritenere che
questo divertimento giovanilistico, questa sferragliante ingordigia di
vita, questo vagabondare senza senso sia tutto ciò che ha da dire Quattro Amici.
Che, invece, soffermandosi con attenzione su queste pagine crude,
sprezzanti, ma al contempo malinconiche e poetiche, ha da raccontare
molto di più.
Perché questi quattro ragazzi non sono solo dei cazzoni in libera uscita, ma quattro anime tormentate.
Blas,
indole docile e spirito conciliativo, è vessato dal padre, rudere
militare e residuato di un franchismo che non muore mai, è brutto e
grasso, ha un disperato bisogno d’affetto che compensa con il cibo.
Claudio,
bello, angelico e guascone, fa un lavoro modesto, vive solo con un
vecchio cane e passa da un letto all’altro per dare senso alla sua vita
di piccolissimo cabotaggio.
Raul,
a sua volta, è divorato da uno smisurato appetito sessuale, ma è
sposato con Elena, prigioniero in un rapporto a cui non riesce a dare
più un senso, soprattutto dopo la nascita di due gemelli, spada di
Damocle del senso di colpa che lo accompagnerà per tutto il viaggio.
E
infine, Solo, il protagonista, l’io narrante, un giovane attratto
dall’infelicità e da impulsi autodistruttivi, che lo porteranno a
perdere il lavoro, a chiudere immotivatamente la relazione con Barbara,
la ragazza che ama, e a vivere un rapporto conflittuale coi suoi
genitori, esponenti della sinistra colta e progressista che ha trovato
terreno fertile dopo la caduta di Franco.
I
quattro amici, tutti meravigliosamente caratterizzati da Trueba, non
sono moralmente edificanti, non sono esempi da seguire, vivono di
frustrazioni e angosce, e danno libero sfogo a una celata cattiveria
vestendola sotto le mentite spoglie della sincerità. Quattro ragazzi che
stazionano in quella terra di mezzo in cui il male di vivere si scontra
con le aspettative del mondo che li circonda, in cui l’incertezza, la
paura del fallimento, il bisogno di affermazione, e l’inconsapevolezza
sentimentale offuscano la visone sul futuro, trasformandoli in burattini
nelle mani del fato, ingranaggi mal oliati di un meccanismo più grande
di loro.
Non
sono belle persone, questi quattro amici, ma sono veri, autentici,
ricordano noi da giovani, ma spogliati di ogni paludamento romantico, da
ogni forzatura conformista. La loro amicizia sembra l’unica cosa che
conti, ma in realtà è fragile, sfilacciata dal cinismo dell’egoismo,
necessità di sopravvivenza e di condivisione, ma anche campo di
battaglia in cui sfogare le reciproche frustrazioni.
Il
personaggio di Solo è sfaccettato, contradittorio, fascinoso. Il suo
rapporto col padre perfetto, così doloroso, così conflittuale, non solo
richiama quello scontro generazionale oggetto di infinita letteratura
(come non ricordare il celebre schiaffo del padre de La Coscienza Di Zeno,
di Italo Svevo) ma anche, a voler guardare con più attenzione, il
passaggio di testimone fra la vecchia Spagna e quella nuova: la prima
orgogliosamente stolida nelle proprie ataviche convinzioni, la seconda,
incerta, appassionata e confusa, come sempre avviene nel passaggio
storico dalla dittatura alla democrazia.
E
poi, c’è l’amore per Barbara, storia che attraversa tutto il libro fino
a diventare protagonista della narrazione nell’ultima parte del
romanzo, la più malinconica, la più dolorosa, la più sofferta. Due anime
affini che la stupidità autodistruttiva di Solo ha allontano, e che
tornano a desiderarsi nuovamente, a cercarsi con lo sguardo e con le
mani, quando ormai le loro vite hanno imboccato strade che il buon senso
e l’opportunità sociale non farà mai più incontrare. O forse, si.
In
questo marasma di sentimenti, tra risate e lacrime, tra avventure e
intime riflessioni, tra nostalgia e cialtronesche smargiassate, tra
bevute epocali, risse ed esilaranti deiezioni, resta un’unica certezza,
quel sentimento fragile, contraddittorio, ma indispensabile, che
chiamiamo amicizia.
“Guardai
Blas e Claudio seduti vicino a me, e compresi, in un certo senso, che
cos’è l’amicizia. E’ una presenza che non ti evita di sentirti solo, ma
rende il viaggio più leggero”.
Blackswan, venerdì 26/09/2025