lunedì 1 settembre 2025

Steve Von Till - Alone In A World Of Wounds (Neurot Recording, 2025)

 


Dopo un anno impegnativo come il 2024, in cui Steve Von Till ha pubblicato un trittico di album sotto il moniker Harvestman, usciti in concomitanza con ogni luna nuova, ci si sarebbe aspettato che l'irrefrenabile pioniere del post metal si prendesse un anno sabbatico per ricaricare le pile. E invece, no. Ecco allora Alone In A World Of Wounds, nuovo album solista registrato questa volta a suo nome, settima raccolta di gothic americana, composta di canzoni acustiche alimentate dalla stessa radicata forza melodica e dalla inossidabile integrità che sono state al centro di tutto il suo lavoro.

Alone In A World Of Wounds amplia, però, lo spettro sonoro di Von Till, che acquisisce un respiro melodico più ampio attraverso una strumentazione che vede violoncello, corno francese e pedal steel accostati a sintetizzatori, chitarre e un tocco di elettronica.

Questa delicata espansività è evidente fin dall'inizio, infondendo all'apertura "The Corpse Road" una morbida potenza innodica, nonostante l’abito disadorno cucito dal violoncello svolazzante di Brent Arnold, dal lugubre corno francese di Eric Davis a sostegno della voce cavernosa e venata di saggezza secolare di Von Till,

"Scontriamo le nostre stelle e lasciamo buchi grandi come un'anima", canta, introducendo un tema chiave dell'album, l'abuso che stiamo facendo della natura, la distruzione progressiva del pianeta da parte dell’uomo, che non vive più con la terra, ma sopra la terra, sostituendo lo sfruttamento a quel che un tempo era una profonda connessione.

Fin da subito si comprende come sia la performance vocale di Von Till a essere fondamentale per l'impatto dinamico dell'album. Fermo restando l’inconfondibile timbro, il chitarrista dei Neurosis canta di più e più a lungo, cerca di superare i limiti naturali della sua voce, mette maggiormente in luce il Mark Lanegan e il Tom Waits da tempo interiorizzati, e ogni verso risuona di una ieratica spiritualità.

In "Watch Them Fade" la sua autorevolezza poetica conferisce vastità a una canzone essenzialmente semplice e cupa. Qui non serve altro che quella voce, un pattern di pianoforte minimale, un battito cardiaco delicato e la grazia circolare di archi provenienti da spazi ultraterreni. C'è una simile, ipnotica essenzialità anche in "Horizons Undone", sebbene con una inaspettata svolta nella coda. Pochi accordi di pianoforte e linee di synth ondulate aprono la canzone che sboccia poi in una fioritura d’archi, chitarre scintillanti e la sorpresa del ronzio quasi in falsetto di Von Till.

Fin dai suoi seminali esordi metal con i Neurosis, la musica di Von Till si è sempre distinta per la sua stratificazione accuratamente elaborata. Alone In A World Of Wounds non fa eccezione, se non fosse che in questo album i fili si combinano per creare qualcosa di più generoso e duttile. Nella scrittura di questi nuovi brani, infatti, il musicista si è allontanato dalla chitarra per un approccio più basato su pianoforte e tastiere, il che gli ha permesso di ampliare il proprio panorama sonoro.  

"Calling From The Darkness" prospera in questa spaziosità. E’ un lungo brano epico che scava nel dolore della perdita, e mentre il frastuono atmosferico di macchinari lontani si intensifica, il pianoforte spettrale, il violoncello struggente e la pedal steel piangente sospirano con crescente disperazione. La voce di Von Till conferisce un tocco drammatico cruciale alla canzone e quando canta "Mi ha dato il veleno, l'ho preso... volentieri", la lunga pausa deliberata regala il brivido perfetto.

Tale potenza lirica è parte essenziale della magia di Alone In A World Of Wounds ed è merito della sensibilità del produttore Randall Dunn che ha reso centrale la poesia. Così, nel post-rock di "Distance", mentre il corno francese ondeggia come una risacca malinconica, Von Till a un certo punto canta: "Le parole sono stanche come le armi: mettetele giù". Un monito indirizzato alla politica, forse, oppure, la drammatica constatazione che tutto è definitivamente perduto, e che nessuna parola, ormai, è più in grado di smuovere gli animi e cambiare lo status quo.

In "The Dawning Of The Day (Insomnia)" il recitato di Von Till è accompagnato da note discendenti di un pianoforte minimale e dagli armonici del violoncello, e se durante l'inquietante ronzio elettronico di "Old Bent Pine", si percepiscono spiragli di speranza mentre le chitarre riverberate risuonano, il conclusivo slow core di "River Of No Return" porta un filo di luce grazie a una spinta melodica brillantemente semplice. Non serve altro oltre alla maestosa chitarra riverberata, alla portata elegiaca del violoncello di Arnolds e alla voce dolorosamente onesta di Von Till. Meraviglia.

Probabilmente troverete che Alone In A World Of Wounds sia un album che non cattura immediatamente l'attenzione. Ha bisogno di tempo per penetrare, è un'opera multidimensionale di significati ed emozioni intrecciati, canzoni sulla perdita e sulla deriva irreversibile presa dal nostro pianeta, temi tanto personali quanto universali. Una musica che scorre lenta, che spesso sceglie la stasi, che talvolta imbocca derive cinematografiche, che cerca i grandi spazi per parlare al romito più intimo della nostra anima. Musica essenziale e sincera, di cui continuiamo a sentire un indefinito bisogno.
 
Voto: 8
Genere: Gotico Americano
 
 
 

 
 
Blackswan, lunedì 01/09/2025